Alla fine le dimissioni più annunciate nella storia dell’agricoltura italiana sono arrivate: Teresa Bellanova ha lasciato il Ministero delle politiche agricole così come deciso dal capo di Italia Viva Matteo Renzi. Stessa cosa ha fatto la sua collega di partito Elena Bonetti, ministro delle pari opportunità e della famiglia.
Al suo arrivo al Mipaaf Bellanova fu oggetto di commenti malevoli per il suo modo di vestire, per il suo curriculum scolastico e per l’aspetto fisico: commenti ignobili ma purtroppo non infrequenti al giorno d’oggi. L’Informatore Agrario fin da subito scrisse che un politico va giudicato dalle sue azioni, non dai suoi vestiti.
Ora, a 15 mesi dalla sua nomina, si può fare qualche considerazione. Sicuramente Bellanova, come tutto questo governo, si è trovata ad affrontare una situazione che nessuno avrebbe neanche potuto immaginare, con una pandemia che ha sconvolto la vita di tutti e l’intera economia mondiale.
Detto questo, è probabile che Bellanova entrerà a far parte di quella schiera di ministri dell’agricoltura di cui si perderà a breve memoria: una lista in cui si troverà in compagnia, ad esempio, di personaggi del calibro di Francesco Saverio Romano o di Michele Pinto.
Alcuni inquilini di via XX Settembre, pur se in carica per poco tempo, hanno lasciato un segno, nel bene o nel male: Giovanni Goria commissariò la Federconsorzi, Adriana Poli Bortone fece la stessa cosa con Aima, Alfonso Pecoraro Scanio affossò la ricerca italiana sugli ogm.
E Teresa Bellanova? Francamente è difficile accoppiare il suo nome a qualche provvedimento che sia andato oltre la normale gestione, sia pure in un periodo di emergenza.
Certo, a caldo, si può dire che il modo in cui si è consumato il suo addio al Ministero non è stato dei più edificanti. È vero che la politica ha i suoi riti e le sue regole, ma l’impressione è stata che in questo caso l’obbedienza al capo abbia prevalso non solo sugli interessi del mondo agricolo, ma anche sul buon senso.