È legittima la delibera con la quale a fine novembre scorso la Giunta regionale del Lazio ha adottato il «Piano regionale eradicazione cinghiali». Lo ha deciso il Tar del Lazio con una sentenza con la quale ha respinto un ricorso proposto dal Partito animalista europeo per contestare anche tutti gli atti e i provvedimenti assunti dalle amministrazioni, in particolare, dalle Asl interessate per l’attuazione della deliberazione contestata.
I giudici, premettendo che «l’obiettivo dichiarato del piano non è di evitare/limitare l’urbanizzazione degli ungulati ma l’eradicazione della Psa nella zona infetta del territorio di Roma Capitale, anche al fine di ridurre il rischio di coinvolgimento della popolazione di suini domestici», hanno ritenuto che «la perimetrazione delle riserve e dei parchi pubblici finalizzata a evitare che la fauna selvatica possa fuoriuscirne, come correttamente rilevato da parte della difesa regionale, non è fattibile né auspicabile sia per ragioni evidentemente pratiche ed economiche, vista l’enorme estensione del perimetro delle aree protette regionali, sia soprattutto perché la fauna selvatica deve essere libera di muoversi sul territorio».
«Infatti, se si recintassero le riserve e i parchi si impedirebbe qualunque movimentazione non solo ai cinghiali, ma anche a tutte le altre specie di medie o grandi dimensioni, comprese quelle minacciate o a rischio di estinzione, non permettendo loro di diffondersi e ricolonizzare le zone da cui sono assenti».
Quanto alla vigenza temporale del Piano, «le misure adottate ai fini di controllo della diffusione della malattia (peste suina) non hanno una durata esattamente predeterminata essendo la relativa durata espressamente agganciata all’evolversi della relativa situazione. Il Piano, pertanto, potrà essere modificato/integrato sulla base dell’evoluzione epidemiologica della malattia».