Obbligo di indicare l’origine: c’è un problema

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La norma sull’obbligo di indicazione di origine per tutti gli alimenti che l’Italia ha inserito nel decreto semplificazione, approvato a gennaio 2019, è stata notificata nel modo sbagliato all’Ue. La sua applicazione è quindi contestabile in tribunale. È quanto emerge da una lettera datata maggio 2019, che la Direzione generale salute della Commissione europea ha indirizzato alle autorità italiane, di cui Ansa ha potuto prendere visione.

In sintesi, la norma è stata notificata quando già approvata e non, secondo quanto stabilito dai regolamenti Ue, prima della sua approvazione. Questo «difetto procedurale sostanziale», si legge nel documento, implica che chiunque possa chiedere l’inapplicabilità della norma dinanzi un tribunale nazionale.

Ricordiamo che il testo contenuto nel cosiddetto decreto semplificazione prevede tutta una serie di adempimenti che, sicuramente, richiedono tempi piuttosto lunghi e che non è detto portino all’obbligo per tutti gli alimenti.

La legge dice che «Con decreto del Mipaaf, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza unificata (Stato-Regioni, ndr), sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative nei settori della produzione e della trasformazione agroalimentare e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari, previo espletamento della procedura di notifica (all’UE, cioè quella fatta in modo errato, ndr), sono definiti i casi in cui l’ indicazione del luogo di provenienza è obbligatoria».

Poi il Mipaaft, in collaborazione con l’Ismea, assicurerà «la realizzazione di appositi studi diretti a individuare la presenza di un nesso comprovato tra talune qualità degli alimenti e la relativa origine o provenienza, nonché per valutare in quale misura sia percepita come significativa l’indicazione relativa al luogo di provenienza e quando la sua omissione sia riconosciuta ingannevole».