Secondo Amedeo Reyneri, docente di agronomia e coltivazioni erbacee dell’Università di Torino, l’idea di una combinazione appositamente studiata di più ibridi diversi in uno stesso appezzamento è una via da esplorare: «È un’innovazione che può condurre a una risposta più uniforme relativamente alle rese e alla qualità della coltura anche in ambienti già vocati al mais, ma comunque soggetti a una – normale – incertezza, come la variabilità del suolo o l’andamento meteorologico».
«Se poi ragioniamo in un’ottica di omogeneità qualitativa del trinciato di mais – evidenzia Reyneri – un aspetto importante per gli impianti di biogas, ma assolutamente cruciale per gli allevatori di vacche da latte, è che combinare più ibridi assieme può con buona probabilità determinare dei vantaggi. Sarà anche interessante vedere la risposta di queste combinazioni alla diversa tipologia di suolo in cui vengono coltivate: la variabilità del suolo in un singolo appezzamento può essere anche molto elevata, così come può essere la risposta di ogni singolo ibrido. Quindi, un po’ come il meteo, diversi ibridi in uno stesso appezzamento risponderanno in modo diverso in base al suolo nel quale affondano le radici. È una strategia che richiede un approccio decisamente nuovo, anche solo nella semplice osservazione dei campo, visto che l’abitudine consolidata è quella di vedere “pareti verdi” uguali perché costituite da ibridi uguali».
«Credo – conclude Reyneri – anche che questa strategia si sposi molto bene con l’attuale iniziale disponibilità di dati utili per interpretare la qualità del trinciato con metodologie di precision farming, ma credo anche che sarà molto interessante osservarne l’evoluzione in aziende “convenzionali”, che a oggi rappresentano ancora la maggioranza delle realtà maidicole della Pianura Padana».