I danni all’agricoltura provocati in Italia dai cinghiali in sette anni, dal 2015 al 2021, sfiorano i 120 milioni di euro per un totale di oltre 105.000 eventi. Gli importi annuali oscillano tra 14,6 e 18,7 milioni di euro, con un media di oltre 17 milioni. Sono alcuni dei risultati della prima indagine su scala nazionale che Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha presentato in un evento di Confagricoltura svoltosi a Viterbo.
Le regioni più colpite sono Abruzzo e Piemonte con, rispettivamente, 18 e 17 milioni di euro di danni nei 7 anni. Seguono, con oltre 10 milioni di danni, Toscana, Campania e Lazio. Complessivamente il 36% degli importi (circa 30 milioni di euro) per danni è riferito alle aree protette nazionali e regionali, la restante parte (circa 89 milioni di euro) ad aree non protette. L’attività di prelievo, inoltre, è aumentata del 45%.
Sulla base delle cifre disponibili sui cinghiali prelevati e dei parametri reperibili nella letteratura scientifica, Ispra «ritiene plausibile una consistenza minima al 2021 di un milione e mezzo di animali. Nei 7 anni dello studio l’86% degli abbattimenti di cinghiale (circa 1,8 milioni di animali) è avvenuto in attività di caccia ordinaria e il restante 14% (circa 295.000 animali) in attività di controllo faunistico.
Il quadro di sintesi che emerge dall’indagine di Ispra descrive «Un generalizzato aumento degli indicatori (prelievi in caccia, prelievi in controllo danni) attualmente disponibili per monitorare l’andamento della gestione della specie. Questo costante aumento del fenomeno su scala nazionale richiede l’adozione urgente di una strategia di intervento nazionale disegnata sulla base delle più aggiornate conoscenze scientifiche, che integri interventi di prevenzione dei danni e di contenimento delle popolazioni, e che assicuri prelievi selettivi e pianificati coerentemente con l’obiettivo prioritario di riduzione dei danni».
«In Italia è necessario un cambio di passo nella gestione di alcune specie di fauna selvatica. Un nuovo modello che tenga insieme gli interessi delle imprese agricole e la tutela ambientale oggi è possibile» è il messaggio che il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, ha lanciato al convegno di Viterbo.
La non adeguata gestione di alcune specie selvatiche – ha detto Giansanti – ha molte conseguenze, a partire dalla diffusione di epizoozie con gravi effetti sulle attività economiche del settore primario, come accaduto con la Peste suina africana in varie aree italiane.
Alcuni passi in avanti sono stati comunque fatti, ricorda Confagricoltura, come gli interventi presenti nella legge di Bilancio 2023. Sono però necessarie misure più specifiche su alcuni aspetti che interessano direttamente le aziende agricole; tre in particolare le priorità: una migliore gestione del periodo di apertura della caccia, la previsione di un maggiore selezione di alcune specie, e un più efficace sistema di risarcimento dei danni.