La pandemia potrebbe uccidere la birra indipendente: è crisi nera per tutto il prodotto artigianale e agricolo, che lamenta un crollo del fatturato del 90%.
L’allarme viene dalla Cia-Agricoltori italiani: con la chiusura di pub, ristoranti e il blocco di fiere, eventi, sagre e di qualsiasi attività legata allo street food si potrebbe arrivare al blocco totale di una filiera dalle grandi potenzialità, che va dalle aziende produttrici di luppolo e orzo distico – in forte crescita su tutto il territorio – ai 900 microbirrifici artigianali del Paese.
Il comparto vale il 4% del mercato nazionale e dà lavoro a 7.000 addetti, producendo in media 500.000 ettolitri – di cui il 20% biologico – e fatturando oltre 250 milioni annui (dati: Unionbirrai).
Al momento non sono previste misure di sostegno e nel Decreto Ristori non compare il codice Ateco dei produttori di birra, che include, paradossalmente, sia il mondo artigianale sia le grandi multinazionali del beverage, che non risentono allo stesso modo della crisi, potendo contare sullo sbocco commerciale della Gdo e del comprovato aumento del consumo casalingo di alcolici durante la pandemia.
Anche i birrifici che forniscono servizio di mescita diretta al pubblico (i cosiddetti brewpub, circa il 30% dei produttori) non godono di alcun sostegno, perché legati al codice Ateco della loro attività prevalente di produzione.
La Cia segnala anche il problema della deperibilità del prodotto, per sua natura non pastorizzato, e chiede particolare attenzione al settore nelle prossime misure allo studio del Governo, con l’urgenza di trovare soluzioni ad hoc per la produzione artigianale, differenziando questo segmento da quello industriale.