I costi agricoli sono lievitati del 18,4% nei primi tre mesi del 2022, dopo aver chiuso il 2021 con un incremento del 6%. Ad evidenziarlo è l’Ismea che sta monitorando l’impatto della crisi internazionale dei prezzi sulle singole voci di spesa nel settore primario.
Nel primo trimestre, per quanto riguarda le colture vegetali si registra un aggravio dei costi sostenuti dagli agricoltori del 20,4% su base annua (+5,7% del 2021).
I rincari, guidati dal record dell’energia (+50,6%) e dei fertilizzanti (+36,2%), hanno investito tutti i settori seppur con intensità differente, risultando più accentuati nel caso delle coltivazioni industriali, dei semi oleosi e delle colture cerealicole, anche se il contestuale aumento dei prezzi di vendita ha protetto per ora le marginalità.
Per la zootecnia, gli esborsi degli allevatori sono aumentati del 16,6% su base annua, dopo il +6,4% del 2021, per gli incrementi dei prezzi degli animali (+9,8%), dei mangimi (+21%) e dei prodotti energetici (+61,5%). In questo caso i prezzi di vendita ha dimostrato di non essere sempre in grado di assorbire i maggiori costi.
Tra i vari comparti, avicoli, uova e bovini da latte risultano i settori più colpiti dagli incrementi dei costi produttivi.
L’attuale crisi dei prezzi sta investendo tutta la filiera agroalimentare, dalla produzione alla trasformazione industriale al consumo finale con un calo del clima di fiducia. Ismea, infatti, ha condotto un’indagine su un campione di 795 aziende del settore primario e 586 imprese di prima e seconda trasformazione per indagare gli impatti dei rincari e delle difficoltà di approvvigionamento. Il risultato più evidente è un brusco calo della fiducia degli operatori, con un pessimismo più marcato da parte delle aziende agricole, rispetto alle industrie e, nell’ambito dell’agricoltura, un deterioramento della fiducia più accentuato nelle imprese zootecniche.