La cerealicoltura attraversa un momento di euforia delle quotazioni che, pur essendo accompagnato da un notevole aumento dei costi di produzione, in presenza di buone rese a ettaro potrebbe garantire redditività agli agricoltori.
Tuttavia è molto probabile che i corsi delle commodities subiscano nei prossimi mesi un ritocco al ribasso deludendo le aspettative dei cerealicoltori. Pertanto le strategie di puntare su rese e qualità delle produzioni utilizzando mezzi tecnici adeguati come seme certificato, tracciabilità e integrazione della filiera non devono essere abbandonate. Ne abbiamo parlato con Angelo Frascarelli, presidente di Ismea.
Presidente, serve maggiore integrazione alla filiera cerealicola? Quale ruolo possono avere i mezzi tecnici come il seme certificato?
A un seme non eccellente non possono porre rimedio né la concimazione, né il diserbo. Ecco perché l’utilizzo di varietà certificate è il punto di partenza per rispondere alle esigenze del mercato con prodotti all’altezza.
Il seme certificato ha un ruolo importante nel garantire maggiore qualità e tracciabilità ed è anche un elemento chiave per i contratti di filiera.
Sebbene il costo del seme autoprodotto in azienda possa essere inferiore rispetto alla semente certificata, il risparmio ottenibile può essere effimero, rispetto al differenziale di standard quantitativo e qualitativo che si otterrebbe attraverso l’uso di seme certificato.
Infatti, oltre alla certezza della varietà utilizzata, la semente certificata garantisce tracciabilità, sanità, assenza di fitopatie (come la fusariosi, il mal del piede, ecc.) ma anche purezza, germinabilità, efficacia della concia, ecc.; quindi vantaggi sia di carattere agronomico sia economico.
In questa situazione di alti prezzi dei cereali, una maggiore produzione, anche piccola, ripaga ampiamente il costo della semente certificata.
Il Piano strategico nazionale (Psn) ha riconosciuto il ruolo del seme certificato?
Il Psn non prevede sostegni o impegni specifici per l’impiego del seme certificato, né attraverso i regimi per il clima, l’ambiente e il benessere degli animali (eco-schemi), né attraverso il sostegno accoppiato al reddito.
Su cosa dovrebbe puntare un cerealicoltore per garantire la redditività della sua attività?
La cerealicoltura deve puntare su quattro concetti chiave: produttività, sostenibilità, integrazione e differenziazione.
La produttività è un elemento fondamentale per la redditività, ma lo è ancora di più nel momento attuale con prezzi alti per tutte le commodities, in cui gli approvvigionamenti nazionali ed europei diventano più emergenti in conseguenza del conflitto Russia-Ucraina.
La transizione ecologica è un percorso obbligato perché gli acquirenti, l’industria di trasformazione, ma in ultima istanza i consumatori ovvero i cittadini, vogliono prodotti sani e rispettosi dell’ambiente. A mio avviso cresceranno e supereranno la fase di nicchia le produzioni ottenute con meno agrofarmaci, meno impatto sull’ambiente: in definitiva quelle che più risponderanno al contrasto dei cambiamenti climatici.
Il conflitto Russia-Ucraina ha mostrato alcune debolezze della filiera cerealicola italiana; in particolare l’atteggiamento delle industrie di trasformazione dell’acquisto just in time si è dimostrato poco lungimirante. Queste industrie hanno avuto difficoltà di approvvigionamento nei primi periodi del conflitto e stanno spingendo verso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, con conseguente crescita di interesse per quelle nazionali.
L’integrazione tra agricoltura e industrie di trasformazione diventerà sempre più importante e gli strumenti di integrazione tra settore primario e agroindustria sono senza dubbio i contratti di coltivazione e di filiera.
La quarta parola è differenziazione: i cereali – seppure commodities – devono superare le logiche dei prodotti indifferenziati approdando a quelle dei prodotti differenziati, all’interno di filiere tracciate, arrivando al consumatore finale attraverso prodotti distintivi.
Abbiamo già, in Italia, diverse situazioni di casi di eccellenza, soprattutto nel settore della pasta e dei prodotti dolciari, ma dovremmo raggiungere questo obiettivo anche con i cereali per l’alimentazione zootecnica, come il mais e l’orzo, legando queste produzioni ai formaggi e ai prosciutti dop.
Antonio Boschetti
Intervista pubblicata su L’Informatore Agrario n. 16/2022