Speravamo, nelle ultime settimane, che la nostra produzione di macchine agricole, eccellenza mondiale del valore di 11,4 miliardi euro, fosse un biglietto da visita sufficiente per farla ritenere, agli occhi del Governo, un’attività essenziale per il Paese, come era stata indicata nel dpcm del 22 marzo e poi incredibilmente depennata in quello di tre giorni dopo.
Immaginavamo che la penuria di pezzi di ricambio e la crescente difficoltà ad eseguire riparazioni e manutenzioni alle macchine agricole che, considerata la stagione stanno lavorando con frequenza sempre maggiore nei campi alla produzione di derrate alimentari, fosse un ottimo argomento per convincere il legislatore che l’industria dei componenti fosse fondamentale per alimentare le linee di produzione e il mercato dei ricambi.
Credevamo di essere nel giusto ricordando al Governo che il valore delle nostre esportazioni, di oltre 7 miliardi di euro, pesa mediamente per tre quarti sul bilancio delle nostre aziende metalmeccaniche e con lo stop prolungato fino al 3 maggio, rischia di assottigliarsi fino all’azzeramento. Il tutto naturalmente a favore di alcuni concorrenti europei e soprattuto extraeuropei che continuano a lavorare e a vendere anche ai nostri clienti in tutto il mondo i loro prodotti, semplicemente perché gli agricoltori continuano a lavorare la terra, anche senza le nostre macchine.
Sbagliavamo, perché nell’ultimo dpcm del 10 aprile scorso, non c’è traccia del codice ateco 28.30 “Fabbricazione di macchine per l’agricoltura e per la silvicoltura” e la delusione è profonda lungo tutta la filiera anche perché, fino a qualche ora prima del varo del documento, avevamo informazioni diverse.
Inevitabile sarà ora l’aumento, esponenziale, delle richieste di deroga ai prefetti, le cui scrivanie sono già da tempo inondate di pratiche alle quali non viene data risposta, perché vale la formula del “silenzio assenso”, con tutte le responsabilità in capo agli imprenditori che devono far fronte anche ai timori e alle diffidenze, in qualche caso legittime, di un certo numero di dipendenti.
In sostanza chi se la sente aprirà, altri non lo faranno. Ma che senso ha aggirare in questo modo il divieto, con tutti i rischi che ne conseguono, per lavorare a scartamento ridotto? Se per salvaguardare la salute pubblica le fabbriche di macchine agricole e componenti vanno chiuse, perché con una domanda al prefetto si possono riaprire? O è bianco o è nero e invece in Italia, abbiamo preferito il grigio. Come mai non siamo riusciti a farci ascoltare e reinserire il codice ateco nel famoso allegato?
E’ facile prevedere anche una corsa tra concorrenti sul nostro territorio nazionale; “quello ha aperto perché non devo farlo io che produco le stesse macchine”? Proviamo ad immaginare cosa potrà succedere in una Nazione come la nostra ricca di piccole medie imprese metalmeccaniche che lavorano alla produzione di macchine agricole avvalendosi a loro volta, per molte lavorazioni, di un esercito di piccole o piccolissime imprese satellite.
Non abbiamo le competenze per mettere in discussione l’intento sacrosanto del Governo di salvaguardare la salute dei cittadini, ma è altrettanto chiaro che se si secca alla sorgente la filiera agroalimentare, nel fiume piano piano scorrerà meno acqua e l’approvvigionamento di prodotti alimentari potrebbe diventare un problema.
Abbiamo visto tutti in questi giorni le ordinate code fuori dai supermercati e negozi di generi alimentari; carne, latte, uova, farine, pane, pasta, frutta, verdura arrivano sugli scaffali della distribuzione dopo un lungo percorso che parte sempre dalla campagna, dall’uomo e dalle macchine agricole.
Probabilmente il Governo avrà pensato che in fin dei conti due mesi di fermo produttivo non sono tanti e che le operazioni colturali fino alla raccolta si possono eseguire anche con macchine acquistate negli anni passati. Forse non ha valutato che la ripresa, di un settore cardine della nostra economia, sarà ripidissima e il conto da pagare per il sistema industriale nazionale salatissimo in termini di posti di lavoro, competitività internazionale e fatturato.
Qualcuno potrebbe obiettare che siamo di parte, ma non è così, l’alimentazione è un bisogno fisiologico primario di ogni uomo e per essere soddisfatto ha necessità di un’arte antica: l’agricoltura, praticata oggi con il massiccio utilizzo della meccanica agraria.
Mai come in questo periodo i cittadini si sono resi conto della sua importanza. Come è possibile che questo messaggio non sia arrivato agli uomini di Palazzo Chigi? O per meglio dire, come mai dopo averlo riconosciuto nel dpcm del 22 marzo scorso, il codice ateco 28.30 è stato cancellato dopo tre giorni. Quali pressioni e da parte di chi sono state messe in atto per depennare quella riga dell’allegato?
A battaglia conclusa e persa, per il momento, l’altra domanda da porsi è: come ci risveglieremo la mattina del 4 maggio?
Marco Limina