Dopo la decisione del Consiglio di Stato francese che «ritiene illegale imporre l’etichettatura geografica del latte perché non esiste un legame provato tra la sua origine (Ue, non Ue) e le sue proprietà» c’era il timore che potessero sorgere problemi anche negli altri Paesi, Italia compresa, che hanno adottato normative simili a quella francese.
Sulla questione si era espressa la Corte di giustizia europea stabilendo che, in applicazione del regolamento, gli Stati membri possono imporre tale etichettatura a due condizioni: è necessario, da un lato, che «la maggior parte dei consumatori attribuisca un’importanza significativa a queste informazioni» e, dall’altro, «che esista un legame comprovato tra determinate proprietà di un alimento e la sua origine o provenienza». Queste due condizioni, che sono distinte, devono essere soddisfatte entrambe.
Rispondendo a una domanda in merito posta da L’Informatore Agrario, la Commissione europea ha scritto in una mail che «la sentenza del Conseil d’Etat produce effetti giuridici solo nei confronti della causa ad esso pendente». La sentenza della Corte di Giustizia Ue e le sue possibili implicazioni saranno «prese in considerazione» in caso di «eventuali future» notifiche nazionali sull’indicazione di origine.
In pratica, se nessuno fa ricorso (come è successo in Francia con Lactalis), Bruxelles non ha alcuna intenzione di mettere in discussione ora i singoli provvedimenti nazionali, tanto più in vista del fatto che dal 2022 la normativa europea dovrebbe essere rivista mantenendo come unica condizione l’interesse dei consumatori a conoscere l’origine dell’alimento in questione.