L’Italia importa il 45% della carne bovina che consuma

Secondo i dati del Report Ismea di settembre sulle tendenze del settore bovino da carne, tra il 2019 e il 2023, il numero di allevamenti è diminuito di circa 15 mila unità, con una contrazione del patrimonio bovino nazionale di oltre 73 mila capi.

Costretti a far fronte a costi produttivi in crescita e a prezzi di vendita imposti dalla grande distribuzione, molti allevatori sono in grande difficoltà.

C’è anche da dire che il 55% della carne bovina commercializzata in Italia proviene da allevamenti esteri. L’Italia è scesa da un tasso di autosufficienza del 57% nel 2020 al di sotto del 45% nel 2023 (fonte: Teseo) e il 2024 è in ulteriore peggioramento.

Purtroppo il trend riguarda sia la filiera Francia-Italia che quella Italia-Italia ed è il peggiore degli ultimi dieci anni. Per i bovini vivi la Francia continua a essere quasi il fornitore esclusivo con il 90% dei volumi totali e un’evidente dinamica espansiva.

In pratica in Italia ci sono due linee produttive: la linea Francia-Italia e la linea Italia-Italia o vacca-vitello.

La zootecnia da carne come può uscire da questa crisi in atto? Lo abbiamo chiesto a Giuliano Marchesin, direttore tra l’altro dell’Aop Italia Zootecnica e del Consorzio Sigillo Italiano.

«Prevediamo – afferma Marchesin – una strategia su tre pilastri:

  • lo sviluppo del Sistema di qualità nazionale zootecnia (Sqnz) con l’applicazione di disciplinari di qualità certificata, riconosciuti dal Masaf e dalla Commissione europea, per comunicare ai consumatori, attraverso il marchio-ombrello del «Consorzio Sigillo Italiano», le produzioni di eccellenza degli allevatori italiani (made in Italy) e farle riconoscere;
  • l’aumento della produzione di ristalli in Italia per diminuire l’importazione dall’estero che nel 2023 valeva 1,15 miliardi di euro pari al 65% dei capi macellati in Italia;
  • far funzionare l’interprofessione per sviluppare progetti di filiera soprattutto per la valorizzazione delle produzioni made in Italy; il termine «far funzionare» sottende al mettere d’accordo allevatori, macellatori e gdo per sviluppare progetti condivisi, volti a valorizzare quel 45% di carne made in Italy rimasto (fonte: Teseo 2023), affinché gli allevatori possano guadagnare il giusto”.

Anche a Stefano Mengoli, presidente del Consorzio tutela del vitellone bianco dell’Appennino Centrale igp, abbiamo chiesto come la zootecnia bovina da carne possa uscire dalla crisi.

«Attualmente – osserva Mengoli – solo il 10% della carne bovina consumata in Italia è interamente prodotta sul territorio nazionale (nata, allevata e macellata in Italia). Per rilanciare il settore dell’allevamento bovino nazionale è fondamentale preservare la tradizionale linea produttiva vacca-vitello e valorizzare le nostre razze autoctone come Chianina, Marchigiana, Romagnola. Diverse sfide minacciano la sopravvivenza di questo sistema.

Il territorio italiano, prevalentemente montuoso e boschivo, limita la disponibilità di pascoli e rende difficile la gestione di grandi mandrie. Inoltre, l’invecchiamento degli allevatori, la carenza di ricambio generazionale e la frammentazione delle aziende agricole aggravano la situazione.

Per superare queste criticità, proponiamo: il consolidamento delle aziende e l’aggregazione delle piccole imprese per creare realtà più competitive e sostenibili e la valorizzazione del territorio, sottolineando l’unicità delle nostre razze e delle nostre indicazioni geografiche.

Collegato a ciò, c’è la sfida di comunicare questi messaggi efficacemente al consumatore che è sempre più attento all’impatto ambientale e alla territorialità. C’è poi la necessità della semplificazione da una burocratizzazione eccessiva come quella di Classyfarm, che non aggiunge valore alla comunicazione con il consumatore e rappresenta un onere non da poco per le piccole aziende».

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 34/2024
L’Italia importa il 45% dei consumi di carne bovina
di G. Menna
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