La proposta di direttiva della Commissione europea sulle emissioni industriali, che intende includere nel suo campo d’azione anche gli allevamenti che superano le 150 unità bestiame (150 bovine per le aziende da latte), è basata su dati di impatto sbagliati.
A fine gennaio, in una riunione del gruppo di lavoro del Consiglio Ue che sta esaminando la proposta di direttiva, i tecnici della Direzione generale ambiente della Commissione hanno presentato nuovi dati, non ancora pubblicati da Eurostat, aggiornati al 2020. Risultato: le misure copriranno il 20% delle aziende invece del 13, un quinto invece che poco più che un decimo. L’aumento è dal 18 al 61% per gli allevamenti suinicoli e dal 15 al 58% per gli avicoli, dal 10 al 12,5% degli allevamenti bovini.
Non si tratta di un banale errore di calcolo, quanto dell’aver sottostimato il consolidamento strutturale dell’agricoltura europea, che l’orientamento al mercato della politica agricola comune finisce per premiare: sempre meno aziende, sempre più grandi.
Solo per restare nel settore dei bovini e solo in Italia, la concentrazione delle strutture produttive negli ultimi dieci anni ha portato a una crescita accelerata della dimensione media aziendale, passata da 70 capi/azienda del 2010 a 102 capi/azienda nel 2020 (dati Ismea).
Per la Commissione europea però l’aggiornamento statistico rafforza la soglia scelta, perché il «rapporto costi/benefici per la società migliora».
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 7/2023
Direttiva emissioni: sottostimato l’impatto sulla zootecnia
di A. Di Mambro
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