Come noto, tra poco il settore lattiero-caseario italiano si troverà alle prese con il cosiddetto «Caseificio Italia», un provvedimento che prevede l’obbligo delle registrazioni sui quantitativi di latte e di semilavorati acquistati dalle imprese che svolgono l’attività di primo acquirente nel settore del latte vaccino, ovino e caprino, nonché l’obbligo per le imprese di trasformazione del latte di registrare i volumi dei singoli prodotti ottenuti e le relative giacenze.
A ben vedere, però, «Caseificio Italia», che vorrebbe essere una misura mirata alla competitività della filiera, rischia solo di far lievitare gli oneri e i costi a carico delle imprese, distogliendo la loro attenzione da attività strategiche, come l’innovazione o la ricerca di nuovi mercati di sbocco.
C’è una sproporzione palese tra le finalità dello strumento, «l’accurato monitoraggio delle produzioni lattiero-casearie realizzate sul territorio nazionale», si legge al comma 1, articolo 3 del Decreto Emergenze del 2019, e le regole e alle forze messe in campo per gestirne il funzionamento.
È curioso rilevare come il provvedimento richiami i regolamenti comunitari che impongono agli Stati membri di fornire alla Commissione UE alcune informazioni relative ai mercati agricoli, circoscrivendo però la richiesta ai prezzi e alle consegne mensili verso i primi acquirenti.
Non c’è che dire: l’Italia è andata ben oltre, ignorando la contrarietà delle imprese della filiera, preoccupate dei tanti adempimenti ai quali saranno assoggettate, per fornire dati di dubbia utilità ai fini del monitoraggio del mercato.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 27/2021
Caseificio Italia? Tanta burocrazia
di E. Comegna
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