Negli ultimi anni, in seguito all’avvento della genomica, il progresso genetico della razza Bruna ha subito un’accelerazione orientata soprattutto a esaltare i caratteri relativi al contenuto lipidico (4,05%) e proteico (3,59%) del latte, alla longevità funzionale e alla conformazione corporea.
Il latte prodotto dalle bovine di questa razza ha, infatti, un’elevata frequenza (63,8%) della variante BB dell’allele k-caseina, che è il genotipo più adatto alla caseificazione (tempo di coagulazione più breve associato a una cagliata dalla consistenza più solida e resistente) e alla resa in formaggio (+13% per ogni litro i latte).
Generazioni di bovine e allevatori: l’azienda Pelegrì
Uno degli storici allevamenti di Bruna è l’azienda Pelegrì di Palazzago (Bergamo). L’intervista con l’attuale titolare, Ivan Avogadro, è l’occasione per conoscere una delle molteplici realtà produttive che contribuiscono alla sopravvivenza della zootecnia da latte nella fascia collinare bergamasca.
L’azienda Pelegrì ha più di 80 anni di storia: come è nato l’allevamento?
L’azienda è sorta nel 1940 a San Pellegrino, in Val Brembana (tradizionalmente vocata all’allevamento di vacche da latte di razza Bruna), per opera del mio bisnonno Sebastiano Avogadro (soprannominato «Pelegrì») che allevava 6-7 vacche da latte e 4-5 manze da rimonta.
Nel 1956, la piccola stalla è stata rilevata da mio nonno Francesco che ha aumentano il numero dei capi a 12 vacche in lattazione: questa mandria era formata da bovine di razza Bruna e da soggetti derivanti dall’incrocio Frisona e Bruna; la scelta di incrociare la Bruna con la Frisona era dettata dalla necessità di migliorare il quantitativo di latte prodotto.
Successivamente, nel 1994, l’azienda è stata rilevata da mio padre Sebastiano che, coadiuvato da mia madre, ha iniziato a selezionare una mandria di sole bovine Brune incrementandone anche il numero (attualmente i capi totali sono 95). Dopo aver conseguito il diploma di tecnico agrario presso l’Istituto agrario di Bergamo, all’età di 18 anni, anch’io ho contribuito all’attività dell’allevamento, prima in qualità di coadiuvante e poi subentrando a pieno titolo ai miei genitori, nel 2017.
Quindi, la tua famiglia alleva bovine di razza Bruna da quattro generazioni. Perché hai deciso di continuare?
Innanzitutto, perché è una tradizione di famiglia e poi per l’elevata qualità del latte, riferita in particolare al titolo proteico, associata a una resa alla caseificazione nettamente superiore alla media. Se si confronta la razza Bruna con la Frisona, questi due aspetti costituiscono sicuramente un vantaggio al quale si aggiungono la buona rusticità degli animali e l’ottima attitudine al pascolamento, caratteristica, quest’ultima, che apprezzo molto perché adotto il pascolo di esercizio notturno per le vacche in lattazione.
Inoltre per me l’attitudine al pascolamento è basilare, perché pratico ancora l’alpeggio per il giovane bestiame: ogni anno, nel periodo compreso tra i primi di giugno e i primi di ottobre, 25 manze di età superiore ai 12 mesi vengono raggruppate con gli animali provenienti da altre 4 aziende e monticate su un alpeggio collettivo, situato a Pizzino in Val Taleggio, che viene gestito da uno dei cinque soci.
Naturalmente, anche allevare i bovini di razza Bruna ha i suoi svantaggi: innanzitutto la minore produzione di latte se paragonata alla razza Frisona e, inoltre, secondo la mia personale esperienza, se sono affetti da qualche problematica sanitaria, gli animali appartenenti a questa razza manifestano una minore reattività, che allunga il periodo di recupero da parte del soggetto malato. Questa fragilità è, probabilmente, il risultato dell’incremento della consanguineità, un problema che affligge molte razze conosciute.
Hai accennato al merito genetico. Dove si orienta la tua selezione?
Controllo periodicamente gli indici dei tori presenti sul mercato e nel formulare il piano di accoppiamento pongo attenzione alla produzione in termini di quantità e qualità, senza un particolare interesse verso i soggetti miglioratori per la k-caseina BB.
Gli altri caratteri che ritengo determinanti sono «arti e piedi», assolutamente importante affinché i miei animali possano continuare a usufruire del pascolo, e la conformazione della mammella, che predispone a una maggiore longevità funzionale.
Tratto dall’articolo pubblicato su Stalle da Latte n. 1/2024
Quando l’evoluzione della razza è anche l’evoluzione dell’allevatore
di M. Olivari
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