Sarà possibile preservare la qualità delle uve a fronte del surriscaldamento del Pianeta? Una risposta positiva, almeno nell’immediato, potrà giungere da una diversa interpretazione di alcune tecniche colturali e dall’adozione di nuove, in modo da gestire gli effetti del climate change e, al contempo, cogliere l’occasione per rinnovare gli schemi produttivi preservando la qualità del prodotto in un contesto climatico nuovo per riuscire negli areali “storicamente” vocati a produrre vini a denominazione su cui si fonda la produzione italiana di maggior valore.
C’è bisogno di un “Giro di vite”, per dirla con il titolo scelto dalle Donne della Vite per il convegno che hanno organizzato nell’ambito di Enoliexpo 2022 a Bari (11 marzo).
“Su questo tema di grande attualità – ha sottolineato Valeria Fasoli, presidente dell’Associazione – abbiamo chiamato esperti a portare il loro contributo di conoscenza ed esperienza, continuando nel solco dello spirito che contraddistingue Donne della Vite, a comunicare, trasmettere e diffondere cultura nel mondo vitivinicolo, nel rispetto dei principi cardine di una viticoltura sostenibile”.
“Abbiamo voluto creare un momento di confronto tra esperienze diverse e di dialogo tra percorsi di ricerca e sperimentazione solo apparentemente lontani – ha spiegato Costanza Fregoni, vice-presidente dell’Associazione Donne della Vite e moderatrice del convegno – nella consapevolezza che il cambiamento climatico necessita di una uno sforzo congiunto di ricercatori, tecnici e produttori per preservare standard qualitativi del prodotto e competitività del settore”.
Secondo quanto riportato dall’ultimo rapporto dell’IPCC, Intergovernmental Panel for Climate Change, a correre il rischio maggiore sono i Paesi del Sud dell’Europa dove si concentra la vite. Anche nello scenario più ottimistico, che prefigura il contenimento del riscaldamento globale in 1,5°C nei prossimi 20 anni, le conseguenze ambientali, sociali ed economiche saranno gravissime e irreversibili. E non è difficile immaginare quali possano essere gli effetti sulla vite.
“Abbiamo molti strumenti per mitigare gli effetti del climate change – ha detto Vittorino Novello dell’Università di Torino e vicepresidente della Commissione Viticoltura dell’OIV – ma è necessario riesaminare e rivedere alcune tecniche adottate negli ultimi decenni per innalzare la qualità delle uve. Un esempio è la riduzione delle rese che oggi, con aumento di concentrazione zuccherina e calo di acidità delle uve indotti dal riscaldamento globale, diventa un arma a doppio taglio”.
La nuova situazione sarà assimilabile a quella dei climi caldo-aridi. “In areali viticoli come quello pugliese – ha illustrato Antonio Carlomagno agronomo di Agriproject – stiamo già affrontando condizioni estreme. Bisogna evitare la standardizzazione dei modelli viticoli ricorrendo al monitoraggio delle variabili meteorologiche su scala aziendale o di comprensorio e servendosi della sensoristica e dei modelli di supporto alle decisioni per perseguire l’uso sostenibile ed efficiente di risorse sempre più rare e preziose come, ad esempio, l’acqua”.
Per fronteggiare il global warming evoluzione tecnologica e sostenibilità ambientale saranno ancor più indissolubilmente legate. “Una sinergia possibile – ha sottolineato a questo proposito Marcello Salvestrini, di Volentieri Pellenc, azienda leader del settore e partner del convegno di Donne della Vite – grazie a macchine con tecnologie avanzate capaci di ridurre i costi e perseguire la qualità delle uve selezionate con sistemi di precisione. Oltre 70 ingegneri lavorano nel Gruppo Pellenc, in una sorta di comunanza di intenti, per elaborare tecnologie sempre più rispondenti alle esigenze dei viticoltori con uno sforzo costante in termini di innovazione e investimenti in ricerca”.
Il deserto è un formidabile laboratorio in cui testare sulla vite gli effetti che i cambiamenti climatici hanno o potranno avere sui vigneti di zone non desertiche. “La sperimentazione nel deserto del Negev su vite da vino e su altre colture – ha raccontato Aaron Fait della Ben Gurion University del Negev (Israele) – permette di ottenere modelli per anticipare quella che sarà la condizione in Europa tra 20 o 30 anni. Oggi riusciamo, comunque, a produrre vini di qualità, come testimoniano i premi ricevuti. Tuttavia osserviamo una riduzione di rese, in particolare su alcune varietà, che ci porta a prevedere una perdita fino al 60% della produzione con un incremento di temperatura di 2°C. Stiamo ottenendo buoni risultati sull’omogeneità e sul livello qualitativo delle uve mitigando gli effetti delle alte temperature costanti dei grappoli, anche oltre i 45°C, con reti di diversi colori sulla fascia produttiva e modificando l’architettura della pianta”.
Il riscaldamento globale detterà inesorabilmente, per quanto si possa mitigarne gli effetti, il profilo futuro dei vini e implicherà anche un cambiamento sociologico. “Muterà l’idea stessa dell’evoluzione e della longevità dei top wine – ha osservato il sociologo Gianmarco Navarini dell’Università Bicocca di Milano – e si modificheranno la valutazione della qualità da parte della critica enologica e, di conseguenza, gli orientamenti dei consumatori. Oggi si registra la tendenza all’intreccio della concezione di qualità del vino con quella di ambiente e, quest’ultima, con il contesto e il territorio di produzione. Nel clima sociale, culturale e intergenerazionale attuale, la nuova posta in gioco della qualità sembra risiedere in questo intreccio, che dal punto di vista della produzione chiama in causa la bellezza di una certa dose di coraggio”.