Per la prima volta sono i Paesi terzi a spendere di più per il vino italiano. A sottolinearlo è l’Ismea, sulla base dei dati del commercio con l’estero dei primi 9 mesi dell’anno, da cui si evince che i clienti extra europei hanno speso 38 milioni di euro in più rispetto a nostri partner comunitari. Uno scenario piuttosto insolito che, se confermato a fine anno, darebbe vita a uno storico sorpasso, mai registrato dall’inizio del nuovo millennio.
Nel complesso, da gennaio a settembre 2019, l’Italia l’ha spedito oltre frontiera 15,7 milioni di ettolitri di vino (+12% sullo stesso periodo dell’anno precedente) per un controvalore di 4,6 miliardi di euro, in crescita del 3,8%.
Se i dati dei mesi successivi dovessero confermare questo trend, a fine anno si potrebbero superare i 22 milioni di ettolitri per un introito che, finalmente, potrebbe avvicinare il traguardo di 6,5 miliardi anche se ad un ritmo che si sta mostrando più lento rispetto alle attese di qualche anno fa, con i prezzi medi in discesa sia per dinamiche legate ai listini dei vini sia per quella correlata al diverso mix che compone il paniere delle esportazioni.
I vini comuni e i vini sfusi hanno fatto registrare la crescita più rilevante, pur trattandosi di tipologie più esposte alle dinamiche internazionali dei prezzi, alla concorrenza degli altri player e ai mutevoli equilibri tra domanda e offerta. Secondo le elaborazioni Ismea, il segmento ha registrato un aumento dei quantitativi esportati del 22%, in corrispondenza di prezzi mediamente più bassi anche del 27% rispetto all’anno scorso, con il risultato di una perdita di alcuni punti percentuale in valore.
Analizzando anche le altre voci dell’export vinicolo, prosegue la crescita degli spumanti (+9% in volume e +5% in valore) e risultano in decisa progressione anche i vini Dop (+8% in valore), soprattutto fermi.