«Nessuna norma potrà essere imposta ai viticoltori, perché la scelta finale su un’eventuale modifica del proprio prodotto rimarrà nelle loro mani, con i necessari cambiamenti dei rigidi disciplinari interni di produzione dop e igp». Questo il commento di Paolo De Castro in merito alla parziale apertura ai vini senza alcol registrata durante i negoziati sulla riforma della Pac.
«Noi restiamo convinti che un vino senza alcol non può essere definito tale – prosegue De Castro in una nota – per questo il Parlamento si è sempre espresso contro, anche se comprendiamo le opportunità commerciali e di export che vini a basso tenore alcolico avrebbero in alcuni mercati». Per l’europarlamentare «in ogni caso, alla base di qualunque decisione e futura norma in materia, le informazioni riportate sulle etichette dovranno essere chiare per tutti i consumatori, dando loro la possibilità di compiere scelte di acquisto pienamente informate anche in merito alle pratiche enologiche eventualmente utilizzate per consentire l’estrazione di alcol, soprattutto nel caso in cui questo avvenga tramite l’aggiunta di acqua».
Sulla questione è intervenuta anche Federvini, che ricorda come la problematica non sia nuova: «Dal 2008 l’ocm vino ha tolto la esclusività dell’impiego della parola “vino” al solo prodotto ottenuto da uve fresche – chiarisce il presidente di Federvini Sandro Boscaini – anche in caso di locuzioni (es. vino di frutta). Quella ocm consentì agli Stati membri di adottare norme nazionali per regolare tali situazioni. Francia, Spagna e Germania, ad esempio, adottarono norme nazionali che definivano il “vino dealcolato” e il “vino parzialmente dealcolato”. L’Italia si è limitata a consentire alcune eccezioni nel caso di prodotti “tradizionali” (ad esempio il vino di ciliegia)».
Oggi l’UE riprende la questione dando una cornice unica. «Lo consideriamo un passo necessario ed utile – continua Boscaini -. Inoltre l’Ue afferma che le pratiche devono essere disciplinate all’interno della legislazione vitivinicola: così si resta vincolati agli importanti parametri legislativi europei anche in termini di pratiche enologiche e presentazione. Il rischio di vedere delle DO dealcolate è inesistente a meno che i produttori non decidano di modificare i propri disciplinari: a conferma che i produttori restano i custodi delle caratteristiche della propria denominazione».
«Pur concordando sulla opportunità che tali regole trovino spazio in regolamenti del settore vitivinicolo e pur non essendo a priori contrari ai vini a bassa gradazione alcolica, considerando che essi rappresentino un’opportunità commerciale, specie in alcuni Paesi– argomenta Luca Rigotti, coordinatore vitivinicolo dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari – la nostra posizione è che essi debbano essere chiamati diversamente, ad esempio ‘bevande a base di vino’».