All’estero quasi il 90% della produzione di etichette green made in Italy. Mercato interno ancora di nicchia: solo lo 0,6% delle vendite bio è riconducibile al reparto enologico.
La dimensione, almeno quella del mercato domestico, è ancora di nicchia, nonostante il consumo di vini biologici in Italia avanzi a ritmi sostenuti.
I pochi dati a disposizione riferiscono di una situazione in forte evoluzione. Ma che non sia il reparto enologico a fare la parte del leone nel carrello bio degli italiani è abbastanza evidente, dati alla mano, e lo sarà verosimilmente anche in una prospettiva di medio termine.
Per orientarsi tra i numeri è utile partire dalle cifre presentate nei giorni scorsi alla 31° edizione di Biofach a Norimberga, che attribuiscono all’insieme dei prodotti biologici un giro d’affari in Italia attorno ai 3,5 miliardi di euro ai prezzi finali. Si tratta prevalentemente di acquisti di uova, confetture e derivati dei cereali, ma a pesare sono anche altre referenze, dai prodotti ortofrutticoli al latte, dalle paste agli oli di oliva.
Vini e spumanti green si attesterebbero invece su un fatturato retail attorno ai 22 milioni di euro, secondo una stima Nomisma basta sui dati della società di ricerche Nielsen.
Sarebbe dunque uno 0,6% appena della spesa biologica, anche se la lettura incrociata dei dati provenienti da diverse fonti richiede una certa prudenza sul piano interpretativo.
Interessanti anche le evidenze emerse da alcune indagini qualitative, in base alle quali i vini biologici, nella percezione dei consumatori italiani, risentirebbero meno del “plus salutistico” rispetto ad altre referenze.
L’opinione di Carlo De Biasi di Cantina Toblino
Italia e Francia hanno registrato un forte incremento delle superfici vitate biologiche ma le prospettive di sviluppo di mercato interno ed estero sono significativamente differenti.
L’aumento di superficie vitata biologica in Italia è avvenuta principalmente nel Centro Sud con le regioni Sicilia, Puglia e Toscana a farla da padrona.
In Francia, invece, il fenomeno partito dal Languedoc Roussillon ha coinvolto tutti i distretti vitivinicoli con una grande spinta, leggermente frenata del quadriennio 2012-2015, nella zona di Bordeaux.
Mentre in Italia la conversione al biologico ha riguardato principalmente i viticoltori afferenti al mondo della cooperazione e le piccole e medie aziende, il passaggio al biologico in Francia ha subìto la forte spinta sia da parte del Governo (Ecophyto e Piano Filiera Vino) sia delle grandi aziende francesi.
È evidente che la spinta delle grandi maisons di Francia abbia esercitato un’azione propulsiva importante, azione che ha avuto effetti sulla consapevolezza dei consumatori inducendo di fatto l’incremento di domanda sul mercato domestico dei vini bio, tanto da far ipotizzare che la Francia possa diventare il mercato mondiale di riferimento per i vini biologici. In pratica si è messo in moto un effetto volano positivo.
In Italia le dinamiche sono differenti. Venuta meno la spinta propulsiva ministeriale e delle grandi aziende che hanno dirottato la propria attenzione e sforzi verso la definizione di protocolli di sostenibilità, spesso simili ma con marchi differenti, non si è conseguentemente alimentata la richiesta interna e il vino biologico è rimasto, nel percepito del consumatore, prodotto di nicchia.
Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 2/2020
Vigneto bio in crescita ma il vino va all’estero
di F. Pi, C. De Biasi
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