Durante Amarone Opera Prima, la due giorni del Consorzio vini Valpolicella per celebrare il millesimo 2018 del grande vino veronese svoltasi nello scorso fine settimana, è stato dato l’annuncio del completamento del dossier per la presentazione della candidatura della tecnica della messa a riposo delle uve della Valpolicella a patrimonio immateriale dell’Unesco.
Dieci le pagine redatte dal Comitato scientifico, che sintetizzano il lavoro di studio e raccolta di documenti per l’iscrizione di questa pratica di vinificazione negli elenchi tutelati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Tra i punti di forza, individuati anche l’estensione territoriale dell’appassimento praticato nei 19 comuni della denominazione.
Il documento verrà ora trasmesso al Ministero della cultura, a quello dell’agricoltura e alla Commissione nazionale per l’Unesco, l‘organismo interministeriale coordinato dal Ministero degli esteri cui spetta il compito di scegliere, entro il 30 marzo, l’unica candidatura italiana da inviare a Parigi per la valutazione.
Secondo Pier Luigi Petrillo, coordinatore del Comitato scientifico, professore all’Università Sapienza di Roma, «Il dossier evidenzia che si tratta di una tecnica che rispecchia la storia sociale, politica, economica di questo territorio e ne manifesta la sua evoluzione. Il profondo radicamento culturale e identitario definisce la stessa architettura rurale della Valpolicella: un saper fare che da oltre 1.500 anni identifica questa comunità».
«Il traguardo di oggi – ha commentato il presidente del Consorzio vini Valpolicella, Christian Marchesini – è il risultato di un grande lavoro di squadra che ha messo a fattor comune la valorizzazione della Valpolicella e la sua vocazione all’eccellenza. Una unità di intenti e di visione che ha riscontrato l’appoggio anche delle istituzioni, a partire dalla Regione Veneto e dal suo presidente, Luca Zaia. Ora confidiamo che i ministeri deputati a decidere la presentazione della candidatura sappiano riconoscere il valore antropologico e socioeconomico di questa tecnica. Non dimentichiamo, infatti, che la denominazione genera un fatturato di oltre 600 milioni di euro l’anno».