Treviso, 20 Dicembre 2019. Individuare e applicare gli strumenti migliori per allineare il più possibile l’offerta alla domanda, evitando da un lato che l’eccesso di disponibilità di un prodotto deprima i prezzi o, dall’altro, che una sua scarsità introduca rischi di speculazioni.
E’ un problema comune a ogni ambito di mercato ma che diventa particolarmente sensibile quando in gioco ci sono valori come il Made in Italy, le denominazioni di origine e le sempre presenti insidie legate ai tentativi di contraffazione.
Di questo si è parlato oggi in un convegno internazionale, promosso dal Consorzio di Tutela del Prosecco Doc, nel Palazzo dei Trecento di Treviso.
Nell’incontro, dal titolo “Il controllo della produzione e la sostenibilità dello sviluppo vitivinicolo”, si sono messi a confronto i metodi adottati su questi temi dal Consorzio stesso e quelli in uso nel Comité Interprofessionnel du vin de Champagne, il potente sindacato di vignaioli e produttori nato ormai quasi 80 anni fa per proteggere il più famoso vino al mondo e assistere il sistema Champagne nelle strategie di una crescita economica che non si è mai arrestata.
Per scoprire, alla fine, che le rassomiglianze, al di là del prodotto, sono molte e che al giovane consorzio veneto-friulano, costituito soltanto una decina d’anni fa, manca probabilmente solo un po’ di esperienza in più.
A descrivere la disciplina che regola il comportamento di tutti i 16 mila associati del Comité è stato lo stesso presidente, Maxime Toubart, il quale non ha esitato a definire “coesione sovietica” il patto che lega dall’origine tutti i player della filiera. A cominciare dal rigore con cui si rispetta il divieto di produrre vini generici nei territori della Denominazione per giungere all’obbligo di comunicare al centro studi dell’organizzazione ogni singolo dato di bilancio. Questo all’esclusivo scopo di definire con la massima precisione la domanda del mercato e programmare la produzione per l’annata successiva, tenendo conto della riserva eventualmente accantonata.
“E’ fondamentale – ha spiegato Toubart – che vi sia una conoscenza approfondita di tutti gli aspetti della filiera per determinare le regole e consentire che a ciascun attore sia garantita una redditività che gli consenta di vivere bene”.
Più che un’impronta sovietica il presidente del Consorzio di tutela del Prosecco Doc, Stefano Zanette, individua nel modello Champagne “un grande senso di responsabilità e di appartenenza”.
Anche noi in passato abbiamo proposto regole ispirate a quei criteri, in particolare sulla comunicazione dei flussi di vendite, ma forse erano tempi prematuri per poterle comprendere ed accogliere. In generale credo che dobbiamo imparare non tanto a formulare norme precise e impegnative quanto, piuttosto, a sviluppare un sentimento di devozione nei confronti di una denominazione che ci ha portati così in alto”.
“Il nostro problema di italiani – è infine il punto di vista di Michele Fino, docente all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (Cuneo) – è quello di pensare che nel mercato tutto si autoregoli, credo più per pigrizia che per autentica inclinazione al liberismo. Ma così non è. Dovremmo smettere di sentirci sempre così furbi ed evitare che cresca una fascia di consumatori convinta, ad esempio, che nella Doc si possa comprare, risparmiando, il ‘viceprosecco’. Perché questo non esiste e non deve esistere”.