La fermentazione malolattica conferisce al vino morbidezza e persistenza, corpo e delicatezza; è però molto più difficile da gestire della fermentazione alcolica e il suo mancato controllo può alterare sensibilmente il risultato finale.
La trasformazione dell’acido malico in acido lattico a opera dei batteri lattici (prevalentemente Oenococcus oeni) avviene nel vino che, a differenza del mosto, è variamente impoverito dagli eventi microbiologici che si sono susseguiti fino alla sua produzione.
Nel mosto, infatti, sono presenti tutti gli aminoacidi, le vitamine e i microelementi minerali necessari per favorire l’insediamento di qualsiasi microrganismo in grado di resistere al forte pH acido.
Il vino è invece un ambiente assai più ostico, non solo per la presenza di alcol, ma soprattutto perché la quasi totalità dei composti essenziali allo sviluppo della vita è stata assimilata, elaborata e inglobata dai microrganismi indigeni di avvio fermentazione e dai lieviti della fermentazione alcolica.
L’aiuto della ricerca
L’università di Davis in California ha sviluppato un’importante esperienza nella gestione della fermentazione malolattica con colture batteriche coltivate in laboratorio e inoculate in presenza di zuccheri durante la fermentazione alcolica.
La velocità di fermentazione dei batteri è incommensurabilmente inferiore a quella dei lieviti. Tuttavia, la gestione dell’inoculo dei batteri lattici all’avvio o durante la fermentazione rimane un’operazione piuttosto rischiosa o del tutto inefficace se non si ha una buona conoscenza delle caratteristiche di vitalità della cultura microbica utilizzata o, peggio, se si incappa in un rallentamento non auspicabile della fermentazione alcolica.
Forse bisognerebbe avere maggiori informazioni su quale sia il pH massimo al quale la specifica coltura batterica evita di svolgere la fermentazione eterolattica, che porta all’accumulo non solo di acido lattico ma anche di acido acetico. Da un punto di vista logico il coinoculo e anche l’inoculo dopo la fermentazione alcolica di una coltura batterica in un vino giovane, in cui non sia stata effettuata una tecnica di controllo della microflora indigena appare una soluzione poco elegante.
Non si è infatti in grado di prevenire lo sviluppo di microrganismi indesiderati, Brettanomyces compresi.
La tecnica con migliore prospettive per ottenere la massima qualità dalla fermentazione malolattica consiste nel raffreddare i vini, togliere le fecce di macerazione per evitare che rilascino sapori e odori anomali e alterativi, termostatare fra i 14 e i 16 °C e inoculare i batteri lattici, possibilmente gestiti con un pied de cuvé malo.
La gestione del piede d’inoculo malolattico è stata sviluppata soprattutto in Champagne e nella produzione di Cremant. In estrema sintesi, la tecnica del pied malo consiste nell’inoculare i batteri in un mix di acqua, vino con 5 g/L di acido malico e derivato di lievito a pH 4 a 24 °C per 4 giorni e poi trasferirlo in una massa più voluminosa a temperature di 20 °C fino a quando non sia stato consumato almeno un terzo dell’acido malico presente.
Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 6/2019
Note pratiche per controllare la fermentazione malolattica
di Mauro De Paola
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