L’impianto di un nuovo vigneto richiede scelte attente, in quanto influenzeranno la produzione e la qualità delle uve per la sua intera durata. Queste comprendono ad esempio l’orientamento dei filari, il sesto d’impianto e la combinazione d’innesto, e devono tenere conto delle caratteristiche climatiche, morfologiche e pedologiche del sito di impianto. La scelta del portinnesto, in particolare, permette di modulare la risposta della vite agli stress abiotici e risulta quindi una strategia efficacie di adattamento a condizioni ambientali sfavorevoli.
Come scegliere il portinnesto più adatto
La disponibilità idrica, la presenza di sale o di calcare, la fertilità dei suoli ed eventuali carenze nutrizionali devono essere considerate in fase di impianto di un nuovo vigneto per la scelta del portinnesto. Lo studio delle caratteristiche pedoclimatiche del sito di impianto risulta quindi essenziale nell’individuare il portinnesto più adatto. Lo schema in figura riassume le variabili ambientali da considerare in fase di impianto del vigneto, per orientare la scelta tra i portinnesti più diffusi.
Proprio come l’apparato radicale della vite, la scelta del portinnesto può risultare molto articolata. Oltre ai fattori di carattere ambientale, la scelta del portinnesto deve tenere in considerazione l’affinità d’innesto con la varietà di vite desiderata. Alcune combinazioni possono infatti presentare fenomeni di incompatibilità, come ad esempio il portinnesto SO4 con la varietà Cannonau. L’affinità può anche essere determinata dalla lunghezza del ciclo fenologico: portinnesti a ciclo lungo sono preferibili per varietà con germogliamento precoce e maturazione dell’uva tardiva e viceversa.
La scelta del portinnesto non può prescindere inoltre dall’obiettivo enologico che si vuole raggiungere. Ad esempio, la produzione di vini spumante richiede uve con un buon livello di acidità e un livello contenuto di potassio.
Elevate concentrazioni di potassio nel mosto comportano infatti una riduzione dell’acidità, in quanto reagiscono con l’acido tartarico per la formazione di un sale (tartrato di potassio), sottraendolo così dalla soluzione. Un portinnesto che tende a ritardare la maturazione (e quindi la degradazione degli acidi) e con una bassa efficienza di assorbimento del potassio può quindi essere più idoneo per questo specifico obiettivo enologico.
La bassa diversità dei portinnesti
V. riparia, V. rupestris e V. Berlandieri sono le principali specie di vite utilizzate come portinnesti. Di queste specie però solo pochi individui sono stati coinvolti nei programmi di incrocio, determinando così una bassa diversità tra i portinnesti in uso.
Ad aggravare ulteriormente la situazione, dei pochi portinnesti disponibili ne viene attualmente utilizzato solo un numero ridotto. È stato stimato infatti che circa il 90% delle viti coltivate al mondo sia innestato su meno di 10 portainnesti.
Le condizioni ambientali imposte dal cambiamento climatico, con fenomeni di siccità più diffusi e più frequenti, hanno rinnovato l’attenzione sulla selezione di nuovi portinnesti. Negli ultimi decenni sono stati avviati dall’Università degli Studi di Milano nuovi programmi di incrocio, con l’obiettivo di costituire portinnesti tolleranti agli stress abiotici, che hanno portato al recente rilascio dei portinnesti M e alla selezione di nuovi genotipi sottoposti alle ultime fasi di caratterizzazione.
Una maggiore variabilità genetica permetterebbe così di ampliare la scelta a un numero maggiore di portinnesti, in modo da rendere disponibili delle combinazioni di innesto specifiche per ogni areale di produzione.
Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 6/2022
Impianto del vigneto: l’importanza del portinnesto
di D. Bianchi, L. Brancadoro
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