Fra pochi giorni, probabilmente dopo la metà di gennaio, si saprà se gli Stati Uniti metteranno in atto la minaccia di aumentare i dazi sui vini di tutta l’UE, con valori che andranno dal 25 al 100%. Un’ eventualità che avrebbe conseguenze catastrofiche sulle nostre produzioni enologiche.
La viticoltura europea pesa per il 75% del valore di import di vino negli USA, ma è chiaro che su Francia e Italia pende, molto più minacciosa, la spada di Damocle dei dazi. Se ci aggiungiamo che il vino italiano, in termini di volume, è sempre quello più importante (3,4 milioni di ettolitri su 11,5 importati globalmente) il cerchio si chiude, anzi si stringe intorno al nostro collo, per due ragioni.
In primo luogo, l’Italia occupa un segmento di mercato in cui il prezzo è determinante per la scelta dei consumatori americani, più di quanto non accada per i vini francesi.
In secondo luogo, se il flusso di vino che negli anni è andato verso gli Stati Uniti dovesse improvvisamente ridursi drasticamente, la «pressione» dei volumi prodotti dovrebbe trovare altre valvole di sfogo: aumenterebbe quindi l’offerta di quei vini, precedentemente indirizzati sulla rotta atlantica, verso mercati dove essi sono già presenti, con l’ovvia conseguenza che si verifica ogni volta in cui una circostanza inattesa determina un drastico aumento dell’offerta: i prezzi calerebbero.
Non resta che sperare che a Washington prevalga il buon senso.
Sul sito change.org è attiva una raccolta di firme da parte di un gruppo di vitivinicoltori italiani per chiedere al Mipaaf e all’UE di attivarsi per evitare che tutto ciò accada.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 1/2020
Nuovi dazi USA: un incubo per il vino
di M.A. Fino
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