Dalla bacca al vino in 4 fermentazioni

vinificazione in rosso

La microbiologia è una disciplina scientifica fondamentale dell’enologia, la conoscenza dei suoi segreti è essenziale per elaborare vini d’eccellenza. Dagli inizi degli anni duemila gli studi microbiologici hanno avuto una importante evoluzione, stimolata soprattutto dalle nuove tecniche di analisi genetica e biochimica.
Grazie a esse è stato possibile evidenziare e valutare la presenza di microrganismi normalmente non osservabili, perché presenti in quantità relativamente limitate o non coltivabili in laboratorio.
Con le conoscenze contemporanee possiamo affermare che esistono almeno quattro fermentazioni enologiche: quella pre-fermentativa che avviane nelle uve e nei mosti; la fermentazione alcolica condotta dai Saccharomyces cerevisiae; la trasformazione dell’acido malico in lattico, non sempre così comprensibile; la microbiologia post-fermentativa che normalmente si organizza in difesa dai pericoli dei Brettanomyces.
Ovviamente in cantina non ci si può limitare a studiare e descrivere i fenomeni, ma è necessario gestirli e indirizzarli a buon fine. Qualunque sia la filosofia d’approccio, utilizzo o repulsione degli starter selezionati, è indispensabile che l’enologo abbia una buona capacità di osservazione dei fenomeni, per renderli riproducibili ed evitare alterazioni e impoverimenti organolettici.
Il semplice impiego di una cultura di lieviti selezionati non garantisce una fermentazione di qualità.
Gli starter microbiologici hanno avuto successo in quasi tutti i settori alimentari, a eccezione di alcuni, fra cui il vino, che partono da una materia prima con una quantità di microflora indigena variabile, spesso molto elevata.

Dominanza degli starter

La chiave di volta nella microbiologia enologica è stata l’analisi tecnologica che ha consentito di definire le buone pratiche che permettono di ottenere sistematicamente la dominanza degli starter inoculati sulle variegate e sconosciute popolazioni indigene.
Questo studio si è concretizzato anche nella messa a punto di attrezzature per l’attivazione dei lieviti, di cui esistono ormai numerosi modelli.
Le applicazioni industriali degli starter sono così uscite da una fase embrionale, in cui i risultati erano spesso aleatori, e si sono dimostrate in grado di assolvere uno dei principali scopi della trasformazione alimentare: produrre cibi sani che non contengano patogeni o metaboliti che alterano il benessere del consumatore.
Fortunatamente non si conoscono microrganismi patogeni in grado di resistere al pH e grado alcolico del vino; sono tuttavia presenti almeno tre metaboliti dannosi per la salute di origine microbica: ocratossina, ammine biogene, etilcarbammato. L’accumulo degli ultimi due composti tossici deve essere scongiurato con un’attenta gestione dei microrganismi che si sviluppano nel vino.
La disponibilità di colture starter, l’applicazione dei concetti di dominanza e le attrezzature per la riattivazione dei lieviti permettono alle cantine di ottenere risultati sistematicamente positivi, anche senza impiego di anidride solforosa sulle uve o nei mosti.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 5/2019
Dalla bacca al vino in 4 fermentazioni
di M. De Paola
L’articolo completo è disponibile per gli abbonati anche su Rivista Digitale