La Commissione Europea ha annunciato di voler condurre un riesame della sua politica in materia di proteine vegetali. Pertanto, nel primo trimestre del 2024 dovrebbe pubblicare una nuova relazione sull’argomento: si tratterà di un documento basato sul lavoro del 2018 volto a sviluppare le proteine vegetali nell’UE, ma integrando gli aspetti attuali del mercato e del contesto politico.
L’obiettivo di queste misure è quello aumentare la sicurezza alimentare, riducendo al contempo l’impatto sull’ambiente.
Per conseguire questi ambiziosi traguardi, le misure strategiche prese in considerazione puntano a far crescere la produzione comunitaria e a ridurre la dipendenza dall’estero.
L’Unione europea soffre infatti di un deficit elevato di colture proteoaleaginose. Prendendo ad esempio l’annata 2021/22, ma la situazione degli anni precedenti non era migliore, il 22 % delle proteine foraggere risultava di origine extra UE. Il dato è enormemente superiore, arrivando a toccare il 75 %, nel caso delle farine di semi oleosi, principalmente soia (fonte: All. I COM(2022) 133 final).
Questa condizione determina una forte dipendenza del settore zootecnico dalle importazioni provenienti da Paesi terzi, soprattutto dal Brasile, dall’Argentina e dagli Stati Uniti.
In uno scenario di un’auspicabile maggiore disponibilità di proteine vegetali, l’Italia – primo produttore europeo di soia con 342.000 ha coltivati nel 2022 (Fonte Istat) – potrebbe giocare un ruolo da protagonista.
La soia, infatti, è una leguminosa azotofissatrice, a basso input e molto flessibile, che si inserisce bene nelle rotazioni e nelle diversificazioni colturali delle nostre aziende agricole.
Sebbene non sia ipotizzabile un aumento delle produzioni tale da soddisfare l’intera domanda dell’industria, che per colmare il deficit importa in media circa 1,5 milioni di tonnellate di granella e 1,5 milioni di tonnellate di farina già trasformata, la soia italiana potrebbe ritagliarsi uno spazio fondamentale all’interno di filiere agroalimentari di alta qualità.
Grazie alle favorevoli condizioni ambientali ed all’utilizzo di varietà idonee, la soia coltivata nel nostro paese presenta infatti caratteristiche molto interessanti. I produttori di soia italiana e gli spremitori nazionali potrebbero aumentare la propria competitività.
In che modo?
- uscendo dalla dimensione della pure commodity attraverso granella con elevato contenuto proteico;
- rendendo le farine italiane concorrenziali con quelle del Sud America, possibile attraverso l’incremento del contenuto proteico e la compensazione dei costi della logistica (semplificata nel caso di impiego di un prodotto ottenuto in Italia);
- sviluppando linee di prodotti specifici, adatti a mercati più esigenti come quelli del food, del pet food e dell’acquacoltura;
- favorendo la nascita di filiere di qualità, ad esempio dei prodotti tipici nazionali, con l’utilizzo di una soia tracciata.
I primi tre obiettivi possono essere raggiunti con nuove e migliorate varietà di soia, che garantiscano le caratteristiche qualitative desiderate.
L’ultimo, invece, è realizzabile soltanto con la condivisione di una strategia e un approccio di filiera che punti a valorizzare la soia italiana, coinvolgendo la distribuzione e sensibilizzando il consumatore.