Sebbene silenziosa e a volte osteggiata da più parti, da qualche anno è in corso una vera e propria rivoluzione per il comparto dei seminativi italiani.
I contratti di filiera stanno prendendo piede anche in ambiti produttivi fino a pochi anni fa impensabili, come ad esempio quello del mais, mondo agricolo e politica discutono sulle opportunità offerte dalla ricerca nel campo del miglioramento genetico attraverso le Nbt (New breeding techniques) e, complice anche il complicato periodo «pandemico», i consumatori italiani sembrano premiare sempre di più i prodotti alimentari di origine italiana, compresa pasta e prodotti da forno.
Per affrontare i cambiamenti, non subirli, è essenziale utilizzare strumenti efficaci e, in ambito di colture seminative, lo strumento per eccellenza è il seme, che a sua volta ha bisogno di innovazione ed evoluzione tecnologica.
Abbiamo approfondito queste tematiche con Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca genomica e bioinformatica di Fiorenzuola d’Arda (Piacenza).
Dottor Cattivelli, l’industria di trasformazione chiede ai molini delle farine sempre più evolute in termini tecnologici con particolare riguardo anche all’origine nazionale, richiesta che influenzerà sempre di più il lavoro degli agricoltori e delle aziende sementiere. Che ruolo gioca la ricerca genetica in questo scenario?
La ricerca genetica seleziona le piante sulla base delle esigenze espresse dalla società (agricoltori, industria di trasformazione, consumatori). Se esiste una domanda per prodotti con nuove e specifiche caratteristiche tecnologiche (frumenti teneri di forza, duri ad alto tenore di proteine, frumenti resistenti alle fusariosi, ecc) il miglioramento genetico va alla ricerca delle soluzioni.
Potranno esserci limiti dovuti a scarsi investimenti o a normative che vietano l’uso di determinati metodi, ma le potenzialità insite nella ricerca sono veramente ampie.
Semmai in un contesto internazionale sempre più competitivo, sarebbe auspicabile una strategia nazionale a lungo termine capace di mettere insieme la ricerca pubblica e i costitutori privati, altrimenti Paesi meglio organizzati arriveranno prima di noi sul mercato con nuove sementi più rispondenti alle esigenze dell’industria di trasformazione.
L’origine italiana si difende solo se si selezionano varietà per l’ambiente italiano.
Ritiene che il seme certificato, a differenza di quello autoriprodotto in azienda, sia concretamente una garanzia in termini di produttività e sanità della produzione di cereali?
In un sistema alimentare dove si dà sempre più peso alla tracciabilità di filiera, alla salubrità e alla qualità dei prodotti, il seme certificato dovrebbe essere l’indispensabile punto di partenza.
«Certificato», quindi controllato e tracciato, è garanzia che la pianta, e quindi il suo prodotto, abbia le caratteristiche genetiche che deve avere (ad es. aspetti qualitativi).
Il seme certificato è poi uno strumento utile per garantire l’omogeneità della produzione tra diversi produttori e diversi anni.
Davvero pensiamo che la garanzia di migliaia di operatori agricoli, ciascuno dei quali opera in modo indipendente, abbia lo stesso valore della garanzia di un ente ufficiale di certificazione?
Quali ambiti di ricerca sul seme pensa saranno strategici per il nostro Paese nel prossimo futuro?
Se siamo convinti che esistono i cambiamenti climatici, dobbiamo anche essere consapevoli che non ha una base logica pensare di andare nel futuro, quando ci sarà «più caldo», usando le varietà di oggi o di ieri selezionate quando faceva «più freddo».
Adattare le piante alle nuove condizioni ambientali è un obiettivo fondamentale del miglioramento genetico. Adattare le epoche di fioritura al nuovo clima, migliorare la resistenza alle alte temperature e alla probabile riduzione della disponibilità idrica, valutare l’impatto del nuovo clima su composizione e qualità degli alimenti sono tutte azioni indispensabili per adattare l’agricoltura al clima di domani. Inoltre, se riteniamo che l’agricoltura debba anche essere sostenibile, è necessario investire di più nella genetica.
Piante geneticamente resistenti rappresentano la soluzione migliore per ridurre l’impiego degli agrofarmaci e l’utilizzo di microrganismi selezionati in abbinamento con il seme può migliorare l’efficienza d’uso dei fertilizzanti.
Articolo di L. Andreotti pubblicato su L’Informatore Agrario n. 15/2021