Le operazioni di raccolta del grano duro si stanno concludendo solamente in questi giorni, ma la campagna di commercializzazione 2020-2021 è in realtà entrata nel vivo già un mese fa, quando si era reso ormai evidente che le rese produttive dell’area di coltivazione più importante del Paese, la Capitanata, erano di molto inferiori rispetto alle attese e rispetto alle medie degli scorsi anni.
Nonostante un netto incremento delle semine in Puglia (da 346.000 a 390.000 ha circa), si stima che a causa delle perdite produttive (gelata in aprile e successiva siccità) il raccolto della Capitanata sia stato inferiore di almeno 150.000 t rispetto al 2019.
La conseguenza è stata un avvio della campagna 2020-21 con quotazioni molto elevate sul listino di Foggia (320-325 euro/t). I successivi rialzi del 17 giugno e del 25 giugno avevano portato il prezzo medio del «fino» a 332,50 euro/t, alimentando così l’aspettativa, almeno da parte dei produttori, di un mercato in continuo rialzo.
Contestualmente all’ultimo aumento rilevato a Foggia è iniziata la trebbiatura al Centro-Nord, e il 2 luglio scorso sono stati rilevati i primi prezzi per il grano duro presso la Borsa merci di Bologna («fino» Centro 332,50 euro/t).
Dopo di che, l’andamento dei mercati in luglio è stato caratterizzato da forti ribassi su tutte le piazze.
Le ragioni dei ribassi di luglio sono essenzialmente due:
- il buon raccolto sia in quantità sia in qualità del Centro-Nord, e in particolare nelle Marche, dove le rese unitarie sono state a dir poco eccezionali, con punte di 7 t/ha; inoltre, ad eccezione della provincia di Foggia e di parte della Basilicata, nelle altre regioni del Sud e soprattutto in Sicilia c’è stato un raccolto «normale»;
- l’arrivo, peraltro già previsto nei mesi precedenti, di ingenti quantitativi di prodotto estero. Solamente dal Canada era stato programmato in inverno l’acquisto di oltre 1,5 milioni di t per consegne da maggio a dicembre 2020, a prezzi che vanno da 280 a 290 euro/t Cif porto italiano.
Soprattutto l’ultimo aspetto era ampiamente previsto già prima del raccolto, ragion per cui ci viene da pensare che lo «scandalo» non sia stato tanto il trend ribassista di luglio, quanto la sovra-quotazione rilevata a metà giugno a Foggia. Infatti, quando la campagna di commercializzazione inizia con prezzi anomali non è mai un buon segno: l’offerta ritiene che non sia opportuno vendere, mentre la domanda (in questo caso i molini) ha tempo sufficiente per «aggiustare» i prezzi delle semole, cosa che avviene abitualmente al termine del primo semestre di ogni anno, quando vengono rinegoziati i contratti di fornitura con l’industria pastaria e, a cascata, con la Gdo (e infatti la pasta è rincarata).
Al momento il mercato è completamente ingessato e le transazioni «spot» sono ridotte al lumicino.
Duro in filiera: certezza di reddito
Gli unici contratti attualmente in esecuzione sono i contratti di filiera, stipulati in tempi non sospetti e comunque prima della fine del 2019, anche grazie al rifinanziamento dell’aiuto «de minimis» per il triennio 2020-2022 destinato alle aziende agricole da parte del Mipaaf.
I contratti di filiera rivestono ormai un ruolo determinante anche dal punto quantitativo, visto che coinvolgono più di 200.000 ettari in tutta Italia. Un numero sempre maggiore di industrie ritiene infatti strategico assicurarsi uno zoccolo duro di materia prima nazionale, come dimostra anche la decisione di Barilla di produrre pasta con il 100% di grano duro nazionale.
È vero: per l’agricoltore la sottoscrizione rappresenta un vincolo, non solo su come e quando vendere la propria produzione, ma anche riguardo alcune scelte tecniche fondamentali.
Tra queste la più dibattuta è senz’altro la scelta della varietà da seminare.
Tutti i contratti prevedono infatti una o più varietà ammesse, selezionate generalmente in base a criteri «industriali» (attitudine all’accumulo di sostanze azotate, colore, indice di glutine, ecc.). Questo aspetto ha costituito per un lungo periodo un ostacolo, in quanto molte aziende non hanno voluto subire quella che è stata percepita come un’imposizione, spesso a vantaggio di varietà con una produttività minore rispetto ai materiali commercialmente più diffusi.
Va però detto che la ricerca ha fatto grandi progressi negli ultimi cinque anni, e adesso vengono proposte dall’industria anche varietà che non hanno nulla da invidiare ai campioni di produttività prediletti dagli agricoltori.
In conclusione, possiamo solo sperare che la falsa partenza di questa campagna 2020-21 possa fungere da stimolo per un ulteriore incremento delle superfici a contratto.
Articolo di H. Lavorano pubblicato su L’Informatore Agrario n. 25/2020