La notizia del ritrovamento di alcuni cinghiali morti per infezione da peste suina africana (Psa) tra Piemonte e Liguria ha suscitato grande preoccupazione nel settore suinicolo nazionale per le possibili conseguenze sugli allevamenti italiani e sull’intero comparto agroindustriale collegato.
Il problema non è tanto rappresentato dalla possibile contaminazione dei suini allevati, che anche in altri Paesi si è riusciti ad evitare, quanto dall’eventuale blocco delle esportazioni di tutti i prodotti a base di carne suina. Per il principio di regionalizzazione nessun Paese membro dell’Unione Europea può limitare la circolazione di carni e prodotti a base di carne ottenuti dalla macellazione di suini provenienti da zone dell’Italia diverse da quelle riconosciute infette, ma per i Paesi terzi il discorso è diverso e, come precisa Assica, l’associazione degli industriali delle carni di Confindustria, qualora questi dovessero decidere di vietare l’ingresso a tutte le produzioni suine italiane il danno sarebbe enorme.
Secondo la Cia l’export di salumi e carni suine italiane nel 20231 si attesta su 1,7 miliardi di euro (+12,2% rispetto al 2020).
Il sottosegretario alle politiche agricole, Gian Marco Centinaio, ha detto che «Siamo davanti a una duplice emergenza: la minaccia della diffusione della peste suina africana e una presenza fuori controllo di fauna selvatica sul territorio nazionale. Vanno prese misure che fermino il contagio e risolvano le criticità causate dai cinghiali da tempo denunciate da allevatori e associazioni di categoria: danni al settore primario, minaccia per la sicurezza stradale e rischi sanitari».