Non si sblocca la contrattazione per il prezzo del pomodoro da industria nella campagna 2023: né al Sud, né al Nord, dove sembravano esserci spiragli per un accordo. Dopo un avvio promettente nei primi giorni di dicembre, la trattativa tra industrie di trasformazione e organizzazioni dei produttori del pomodoro da industria del bacino del Nord Italia, bruscamente interrotta lo scorso 20 gennaio, è ripresa con un incontro avvenuto lo scorso 17 marzo, che ha tuttavia registrato un sostanziale, e preoccupante, ulteriore nulla di fatto. Lo comunica il Tavolo agricolo del pomodoro da industria del Nord Italia, costituito da tutte le Organizzazioni dei produttori e dalle rappresentanze sindacali di settore (Coldiretti, Confagricoltura e Cia).
«La parte industriale – afferma il Tavolo agricolo – ha reiterato l’offerta già in campo a gennaio, senza far intravedere significativi, e degni di considerazione, margini di miglioramento. Con ciò ignorando in modo ingiustificato e sorprendente quanto nel frattempo avvenuto a livello internazionale, dove i principali Paesi nostri competitor hanno concesso aumenti di prezzo della materia prima agricola fino a oltre il 50% rispetto all’anno 2022. Ma soprattutto ignorando le richieste provenienti dai nostri produttori agricoli, finalizzate a ottenere una remunerazione aggiornata con il notevole incremento dei costi di produzione della coltura».
«Siamo sorpresi nell’assistere ancora una volta alla solita ritrosia, da parte industriale, nel voler riconoscere alla parte agricola la giusta remunerazione della materia prima – commenta il Tavolo agricolo – quasi fosse un soggetto secondario della catena del valore e non, come è nei fatti, il primo e insostituibile fattore dirimente tra l’esistenza e la non esistenza della filiera stessa».
«A nulla serve qualificare come “atto di responsabilità” il “riconoscimento” di aumenti di prezzo del 20% quest’anno o del 40% nell’ultimo biennio, quando molti costi di produzione per gli agricoltori sono quasi raddoppiati, e ancor meno serve paventare gravi conseguenze sui listini al consumatore, dal momento che l’incidenza del costo della materia prima agricola sui prodotti finiti è minimale poiché oscilla attorno al 15%».
Sul tema del prezzo interviene anche Confagricoltura Piacenza: «Una delle obiezioni portate dall’industria al tavolo – sottolinea l’associazione degli agricoltori – è il paventato crollo dei consumi a fronte di un adeguamento del prezzo finale, ma il mercato, proprio con i recenti adeguamenti di prezzo, ha dimostrato che i prodotti basici, come i trasformati di pomodoro, esprimono una domanda piuttosto rigida, che flette poco rispetto alle variazioni di prezzo».
«In ogni modo – aggiunge Confagricoltura – le industrie hanno la possibilità di stoccare le produzioni se non ci sono le condizioni per una vendita ottimale, mentre gli agricoltori, una volta che il prodotto è in campo, non possono né ritardare né invertire la marcia e sostengono dei costi che in caso di una cattiva annata non recupereranno. A ciò si aggiunga che la materia prima eccellente consente di arrivare a un plusvalore sul prodotto finito rivalutato dell’85% rispetto a quanto riconosciuto per la materia grezza; sarebbe un peccato non far cogliere a tutta la filiera e con ciò anche ad ogni sua componente, l’opportunità di sfruttare i mercati in questo momento così tonici».
Tornando al comunicato del Tavolo, «Nel respingere, fermamente, la grave e ingiustificata accusa di comportamento “speculativo”, il Tavolo agricolo, nell’interesse della filiera di cui costituisce l’asse portante, auspica che le parti ritrovino rapidamente la strada che porti ad un accordo che preservi la competitività del settore, vero fiore all’occhiello del made in Italy».
«Il Tavolo agricolo, infine, invita gli agricoltori a valutare bene le prospettive di prezzo che si vanno delineando, in rapporto ai costi di produzione della coltura, anche alla luce del notevole valore e del costo finanziario delle anticipazioni colturali, ponderando le scelte conseguenti».