A livello nazionale le superfici agrumetate si attestano intorno ai 145.000 ha (dati Istat 2018, tabella 1), con una diminuzione nell’ultimo decennio di circa il 15%.
Tra gli agrumi, l’arancio è la specie più coltivata con circa 83.000 ha, seguito dal clementine con circa 26.000 ha.
Le produzioni di arancio incidono per il 57%, seguite dal clementine e dal limone con il 18%, dal mandarino con il 6%, infine gli agrumi minori, bergamotto, pompelmo, cedro e chinotto (1%).
Dal confronto tra i dati più recenti e quelli riferiti al 2008 emerge una significativa contrazione degli investimenti a livello globale, pari a circa 27.000 ha.
Sulla perdita di superficie coltivata è stata determinante una serie di fattori come: l’aumento del costo del lavoro e dei mezzi tecnici, l’inasprimento delle politiche fiscali e previdenziali, la riduzione dei prezzi alla produzione, lo smantellamento delle politiche comunitarie di tutela e sostegno del reddito degli agrumicoltori.
Tra le specie a frutto piccolo , quella maggiormente diffusa in Italia è il clementine, che ha trovato le migliori condizioni ambientali per esaltarne le rese quanti-qualitative, compresa l’apirenia, sfruttando l’autoincompatibilità e la coltivazione in purezza.
Tuttavia, i problemi legati alla scarsa tenuta sulla pianta, nonché l’eccessiva offerta nella fase intermedia di maturazione hanno reso necessario un allargamento del calendario di commercializzazione nella fase precoce e tardiva, grazie all‘introduzione di varietà provenienti dai più importanti Paesi agrumicoli del Mediterraneo.
Il rinnovamento varietale, va attuato attraverso un piano organico, non come singola azienda, ma in maniera comprensoriale, che consenta di razionalizzare nei giusti periodi la presenza di prodotto sui mercati. Con una serie d’interventi strutturali, attraverso anche fondi del Psr, che perseguano una ristrutturazione dell’offerta.
In questo modo si ridimensiona la parte produttiva centrale, che comunque va caratterizzata con prodotti di qualità e produzioni ecocompatibili. L’organicità degli interventi va perseguita anche con un Piano agrumicolo nazionale finalizzato al reimpianto con varietà e portinnesti tecnicamente migliori.
L’offerta deve essere modulata in modo da proporre le giuste quantità con una qualità del prodotto costante, che riesca a supportare una vendita a prezzi remunerativi. In questo scenario un ruolo fondamentale lo possono avere le Organizzazioni di produttori, che oltre ad aggregare la produzione dovrebbero guidare la parte di campo, indirizzando le scelte dell’imprenditore sia nell’innovazione varietale sia nelle tecniche di conduzione, in modo da conseguire un prodotto di qualità.
In tal senso sarebbe da rivedere, con opportuni accordi commerciali, la distribuzione, stabilendo con la Gdo un tavolo di concertazione per sostenere e promuovere il consumo di agrumi di provenienza nazionale che siano garanzia di qualità.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 23/2019
Nuove varietà per contenere la crisi delle clementine
di C. Mennone
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