L’actinidia ha un peso limitato nel contesto frutticolo mondiale, poiché vale meno del 2% della produzione totale di frutta fresca non tropicale (escluso agrumi), ma nei pochi Paesi in cui è coltivata riveste un’importanza strategica di grande rilievo.
In particolare, sono solo una ventina i Paesi in cui è presente questa specie, per una superficie di circa 250.000 ha, il 70% dei quali concentrati in Cina. Nell’ultimo decennio l’interesse per l’actinidia è notevolmente cresciuto, tanto che gli investimenti nel mondo sono aumentati di 85.000 ha.
Buona parte di tale crescita è dovuta alla Cina, che autoconsuma quasi tutta la produzione interna e rappresenta di fatto un universo a se stante, ma anche nel resto del mondo l’attenzione nei confronti di questo frutto è in crescita, con un aumento delle superfici coltivate di 4.000 ha nell’ultimo quinquennio.
Italia e Nuova Zelanda concentrano quasi la metà delle superfici mondiali (escluso Cina) e mostrano una dinamica piuttosto stabile, mentre tra i principali Paesi produttori è rilevante la crescita della Grecia, 3.700 ha in 5 anni e, secondariamente, dell’Iran con 1.700 ha.
In Italia la ripresa produttiva è altalenante, per il perdurare di patologie dal forte impatto sui potenziali produttivi degli impianti, soprattutto nel Nord Italia, quali la moria o la stessa PSA che quest’anno è ricomparsa in alcune aree.
Dopo il picco registrato nel 2015, con oltre 600.000 t, la produzione italiana è scesa nuovamente e anche nel 2018 i dati provvisori attestano l’offerta attorno a 470.000 t.
Ricerca e nuove cultivar per restare competitivi
L’actinidia è un frutto per il quale i mercati internazionali rappresentano da sempre il principale sbocco e anche in Italia, nonostante elevati livelli di consumo interno rispetto agli altri principali produttori, più del 70% della produzione è avviata all’esportazione.
Le prospettive future, pertanto, sono strettamente legate alla capacità che avrà il comparto di adattarsi ai cambiamenti del mercato globale, tenendo bene in considerazione che nuovi produttori si sono già affacciati con decisione sul mercato e altri potrebbero essere prossimi a farlo.
L’Italia dovrà essere in grado di ribadire la sua leadership produttiva, rinnovando al contempo quella commerciale.
Per il primo punto fondamentale è l’azione della ricerca, al fine di superare le problematiche fitosanitarie emerse di recente e che stanno tuttora minando la produttività degli impianti. Sempre dalla ricerca, è auspicabile provenga lo stimolo alla diffusione di nuove cultivar, riflettendo con cura sulle modalità di gestione più opportune. È proprio alle nuove cultivar che si deve buona parte della crescita mondiale dei consumi di un frutto che ha molteplici varianti organolettiche.
Per quanto concerne l’azione in campo commerciale, l’intera filiera deve muoversi in modo coordinato: da un lato, basilare risulta il lavoro delle istituzioni al fine di favorire l’apertura e la penetrazione di nuovi mercati, rimuovendo i tanti ostacoli al commercio ancora presenti, ma dall’altro lato gli sforzi vanno integrati dagli operatori con la promozione del consumo nei nuovi mercati target, dove questo frutto non è ancora ben conosciuto.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 21/2019
Kiwi: nuove varietà e «rete» contro la concorrenza estera
di A. Palmieri
L’articolo completo è disponibile per gli abbonati anche su Rivista Digitale