Da alcuni anni vengono lamentati, un po’ in tutte le zone olivicole italiane, ingenti fenomeni di cascola delle olive. Il fenomeno, noto da tempo per l’olivo, crea oggi maggiore allarmismo e preoccupazione a causa dell’elevata frequenza e della notevole quantità delle olive cadute, in particolare per alcune cultivar.
Spesso si cerca l’origine dell’anomalia in possibili patogeni fungini, insetti ed altre cause biotiche, dimenticando gli aspetti fisiologici e le esigenze ambientali della coltura, in particolare nel periodo fioritura-allegagione.
Fenomeno anomalo in Abruzzo e Molise
Sopralluoghi effettuati in diverse zone olivicole di Abruzzo e Molise, negli anni 2018-2020, hanno evidenziato un’anomala cascola delle olive. Il fenomeno più evidente è una completa necrosi delle olivine, spesso accompagnata da imbrunimenti e necrosi parziali di altre; in ambedue i casi si verifica una ingente cascola.
I sintomi si evidenziano nell’arco temporale fra 30 e 50 giorni dall’allegagione. La sintomatologia si rileva in tutti i territori analizzati, anche se con incidenza diversa; le differenze appaiono legate maggiormente alle cultivar e meno all’ambiente.
La cultivar che ha manifestato maggiormente i danni è il Leccino, con percentuali variabili fra il 5 e l’80%. In tutte le altre cultivar analizzate (Gentile di Chieti, Coratina, Pendolino, Kalamata, Ascolana Tenera, Moraiolo) la percentuale è variabile fra il 2-3 e il 10-20%.
Come gestire il problema
Gli interventi colturali che consentono di mantenere condizioni ottimali di nutrizione idrico-minerale, difesa e gestione della chioma possono concorrere alla diminuzione dell’incidenza del fenomeno. Fondamentali appaiono in un prossimo futuro, caratterizzato da cambiamenti climatici, gli aspetti relativi alle scelte varietali e alla vocazionalità pedoclimatica.
Occorrerà da un lato rivedere le densità di impianto per mantenere una buona esposizione delle chiome, dall’altro, ad esempio, modulare l’irrigazione e le concimazioni per contenere l’eccessivo rigoglio vegetativo, che va a scapito della produzione. Allo stesso tempo la gestione dell’irrigazione diverrà ancora più importante, soprattutto nelle fasi «delicate» come quella della fioritura e dell’allegagione, per prevenire l’aborto dei frutticini e per sostenere l’accrescimento dei frutti e l’inolizione.
Fra le possibili soluzioni da adottare per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sull’olivicoltura si possono indicare due strategie di resilienza: scelta varietale e miglioramento genetico, gestione sostenibile dell’agroecosistema oliveto. La scelta delle varietà dovrà ricadere su quelle capaci di adattarsi meglio a stress di natura biotica e abiotica; sarà importante seguire le date di fioritura, i fabbisogni in freddo, le epoche di maturazione, ecc.
Con il miglioramento genetico, ancora poco sviluppato in olivicoltura, è necessario indagare i genotipi (varietà e portinnesti) più tolleranti/resistenti.
La difesa e il mantenimento dell’agroecosistema oliveto dovrebbero partire da una gestione sostenibile e integrata di input e output colturali e da una corretta gestione del suolo, che si riflettono positivamente sulle caratteristiche quali-quantitative delle produzioni, sullo stato fitosanitario delle piante e sull’ambiente.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 42/2020
Cascola delle olive: attenzione ai cambiamenti climatici
di S. Pachioli
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