I dati macroeconomici 2018 dell’agricoltura nei principali Paesi dell’Unione europea (primi sei per valore della produzione del settore primario), recentemente aggiornati da Eurostat, vedono confermata l’eccellente posizione dell’Italia:
- prima per valore aggiunto e per valore della produzione delle attività connesse;
- seconda, dopo la Francia, per valore complessivo della produzione del settore;
- terza per valore della produzione vegetale, dopo Francia e Spagna;
- quinta per valore della produzione animale, dopo Germania, Francia, Spagna e Regno Unito.
Sono risultati straordinari che premiano il lavoro dei nostri agricoltori e la qualità dei nostri prodotti, tanto più se si considera che l’Italia dispone di una superficie coltivabile sensibilmente inferiore a quella dei principali concorrenti (esclusa l’Olanda) e che la dimensione media delle nostre tantissime aziende è pure sensibilmente inferiore.
D’altra parte, fra i «big» dell’agricoltura UE, l’Italia dedica all’attività agricola di gran lunga più lavoro, sicché, anche da conti approssimativi, è evidente che i redditi dei nostri imprenditori e dei lavoratori dipendenti del settore sono nettamente inferiori a quelli dei «colleghi» concorrenti. Infatti la «torta» del nostro, pur migliore, valore aggiunto deve dividersi fra un elevatissimo numero di operatori e ore di lavoro.
Il riferimento sintetico di calcolo lo suggerisce Eurostat con il cosiddetto indicatore A, rappresentato dal rapporto fra il valore aggiunto e il numero di Unità di lavoro annuali (Ula).
Il risultato finale di questi calcoli si può leggere in un recente rapporto del Centro studi di Confagricoltura: l’Italia, fra i principali Paesi agricoli dell’UE, è all’ultimo posto per il valore dell’indicatore A, che vale in Olanda 2,6 volte il nostro, in Francia 1,5 volte, in Germania, Regno Unito e Spagna circa il 25-30% in più. Queste sono, come detto approssimativamente, anche
le proporzioni dei redditi agricoli.