Ottimizzazione degli strumenti di policy e decentramento nell’applicazione sono i due elementi principali della proposta di riforma della Politica agricola comune presentata dal commissario UE all’agricoltura Phil Hogan lo scorso 1° giugno. Ma se per il primo punto l’obiettivo della riforma è migliorare l’efficacia degli strumenti che ci sono già, la vera grande novità è sull’applicazione, con i Piani strategici nazionali che uniscono sviluppo rurale e pagamenti diretti in schemi pluriennali, che Bruxelles dovrà autorizzare e di cui dovrà verificare l’applicazione.
Novità che ci porta però nel mare aperto delle incognite, perché l’esito della trasformazione dipenderà molto dai diversi Stati e dalle pubbliche amministrazioni nazionali. In un Paese come l’Italia il compito si preannuncia particolarmente difficile perché la competenza dell’agricoltura è regionale.
Su tutto, poi, aleggia l’ombra di tagli al bilancio. L’Esecutivo UE ha iniziato ad affiancare, nelle sue comunicazioni ai media, alla cifra del 5% di fondi in meno a prezzi correnti, quella del 12% in meno a prezzi costanti 2018. Stando alle cifre fornite dalla Commissione l’Italia perderebbe 2,7 miliardi di euro dal 2021 al 2027 in valore nominale. Ma secondo altri calcoli preliminari circolati a Bruxelles, tagli e riforma, con il processo di convergenza esterna, potrebbero significare per le agricolture più sviluppate del continente (Italia, Francia, Germania, ma anche Paesi Bassi) il 15-20% di aiuti in meno in termini reali.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 22/2018 a pag. 10
Una Pac più magra e meno europea
di A. Di Mambro
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