Gli assessori delle diciannove Regioni e delle due Provincie autonome non hanno trovato l’accordo per i criteri di ripartizione dei fondi dello sviluppo rurale per gli anni 2021 e 2022: la fase transitoria della Pac, prima che si applichi la riforma per il quinquennio 2023-2027.
A questo punto, considerati i tempi stretti che ci sono per notificare alla Commissione europea le modifiche dei Psr e le decisioni su come spendere le risorse supplementari per il biennio in corso, l’unica soluzione rimasta è quella di affidarsi alla decisione del Governo che di propria iniziativa dovrebbe procedere a individuare una soluzione e calcolare le quote di fondi da mettere a disposizione di ciascun programma.
Le divergenze tra i due gruppi in contrapposizione sono profonde e insanabili. Da una parte ci sono cinque Regioni del Sud Italia più l’Umbria che propendono per il prolungamento al 2021 e 2022 dei criteri impiegati nel settennio di programmazione 2014-2020.
Dall’altra ci sono le tredici Regioni residue e le due Provincie autonome di Trento e Bolzano che chiedono di applicare criteri oggettivi, come sancito in un accordo risalente al 2014. Tra i parametri si individuano la sau, la plv, il numero di aziende, le aree rurali, la superficie a foreste e boschi, l’incidenza delle zone rurali.
La partita in gioco è alta, perché i guadagni o le perdite per ciascun programma di sviluppo rurale possono arrivare a cifre che si contano anche in centinaia di milioni di euro. Oltre alle questioni monetarie, ci sono in ballo anche elementi politici importanti, come l’equilibrio tra le diverse aree del Paese, la chiarezza e la trasparenza dei criteri di ripartizione delle risorse, i principi che sono alla base della politica agraria e di sviluppo rurale.
Nei prossimi giorni la vicenda dovrebbe chiudersi, si spera con una decisione saggia, lungimirante e equilibrata.
Filippo De Grazia