Né fertilizzanti né agrofarmaci, i biostimolanti si sono fatti strada in agricoltura negli ultimi vent’anni nonostante l’assenza di un quadro legislativo specifico e la mancanza di una definizione condivisa. La ragione è semplice: si sono dimostrati prodotti efficaci nella produzione agricola, migliorando il vigore delle coltivazioni e la qualità dei raccolti.
A livello mondiale si valuta che i biostimolanti sviluppino un mercato di 2 miliardi di dollari, con un’impetuosa tendenza al rialzo.
Per capire come gli agricoltori italiani si rapportano a questa vivace evoluzione tecnica GR Advisory, società di advisory e consulenza specializzata nell’agribusiness, ha condotto una ricerca rivolgendosi a un panel di 4.000 aziende agricole, indagando l’utilizzo dei biostimolanti sulle diverse colture, la conoscenza dei prodotti e della loro efficacia.
Biostimolanti: conoscenza dei prodotti
L’attività di questa classe di prodotti si esplica sostanzialmente con tre modalità: potenziamento della resistenza agli stress abiotici (condizioni ambientali avverse), stimolazione dell’assorbimento e dell’utilizzo delle sostanze nutritive, miglioramento della qualità del raccolto. Gli intervistati dimostrano un’elevata consapevolezza dell’azione dei biostimolanti e più frequentemente si aspettano più di un singolo effetto: nella maggioranza dei casi (il 76%, grafico 3) vengono utilizzati come stimolatori di resistenza agli stress ambientali e nel 69% per migliorare la qualità del raccolto.
Nel 52% delle aziende, invece, vengono usati per la capacità di stimolare l’assorbimento e l’utilizzo delle sostanze nutritive. Alcuni intervistati dichiarano di usarli con lo scopo di rendere (indirettamente) la coltura più resistente a insetti e malattie.
Biostimolanti: conoscenza della composizione
Anche la conoscenza della composizione dei biostimolanti utilizzati è molto buona: pochissimi dichiarano di non ricordarne la composizione (grafico 4).
Gli estratti d’alga, citati dal 76% degli intervistati, sono i prodotti più utilizzati, seguiti dagli idrolizzati proteici (61%) e dagli acidi umici-fulvici (52%). Decisamente meno rappresentati i prodotti a base di batteri, utilizzati solo nel 20% dei casi.
Soddisfazione degli utilizzatori
La tendenza positiva degli utilizzatori verso questi prodotti è confermata dalle intenzioni di continuare (o meno) l’impiego dei biostimolanti nelle aziende del panel (grafico 6): infatti, ben il 41% dei rispondenti manifesta l’intenzione di aumentarne l’utilizzo, a fronte di un 58% che manterrà anche in futuro l’uso attuale.
Praticamente nulla la percentuale di chi intende ridurli.
Su quali colture si utilizzano
Nel panel intervistato è lunga la lista delle colture su cui trovano impiego i biostimolanti. Dalle colture più «speciali» dell’orticoltura protetta alle commodities di pieno campo, l’indagine rivela una gamma di impieghi molto diversificata. Le colture orticole fanno la parte del leone, aggiudicandosi il 45% delle risposte, seguite dalla vite, con il 34%.
Al terzo posto, con una certa sorpresa, si trovano i seminativi autunno- vernini, trattati con biostimolanti nel 27% delle aziende utilizzatrici, seguiti dalle colture frutticole (21%), dai seminativi primaverili (17%) e dalle colture industriali (13%).
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 36/2018 a pag. 43
Biostimolanti: il punto di vista degli agricoltori
di S. Cittar
L’articolo completo è disponibile anche su Rivista Digitale e Banca Dati Online