Dopo l’azoto (N), il potassio (K) è l’elemento nutritivo maggiormente assorbito dalle piante, per mezzo delle radici, dalla soluzione del suolo.
È un elemento coinvolto in innumerevoli processi che lo rendono essenziale per la nutrizione delle piante, che però ne utilizzano efficacemente solo la frazione che si trova nelle fasi liquida e scambiabile del suolo (tabella 1).
La comprensione di questo meccanismo è alla base di una gestione efficiente della nutrizione potassica.
Il K è presente nel suolo in quantità piuttosto rilevanti e teoricamente capaci di soddisfare ampiamente le esigenze nutrizionali delle piante. Quantità che sono, ad esempio, di molto superiori a quelle dell’azoto e del fosforo; il suo contenuto medio totale è stimabile nell’ordine dell’1,5% (15 g/kg).
Tuttavia, gran parte di questo K non è di fatto disponibile per l’assorbimento radicale, e quindi assimilabile, in quanto rappresentato dal K reticolare che è un componente strutturale dei minerali primari.
Tale frazione del K non possiede nessuna importanza nutrizionale in quanto la sua disponibilità è legata all’alterazione dei minerali, un processo talmente lento da renderlo di fatto del tutto ininfluente da un punto di vista del soddisfacimento delle esigenze nutrizionali delle piante.
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Le caratteristiche dei fertilizzanti potassici
I fertilizzanti potassici derivano da minerali che opportunamente trattati per eliminare sostanze indesiderate quali ad esempio il cloruro di sodio, forniscono cloruro di K (KCl), con un contenuto medio del 60% di K2O.
I trattamenti operati per ridurre il contenuto di cloruri prevedono l’utilizzo di acido solforico, in questo modo si può ottenere solfato di K (K2SO4) con un titolo del 50-52% di K2O e un 45-47% di anidride solforica (SO3) e meno del 2% di cloruri (Cl–).
I cloruri sono specie ioniche indesiderate in quanto possono attivamente contribuire alla salinizzazione del terreno e ad una minore sviluppo di molte specie vegetali.
In alcuni casi sono responsabili del deprezzamento di prodotti di alcune colture, fra le quali spiccano vite e tabacco. Concimi potassici di interesse sono anche il nitrato di K (KNO3) con il 46% di K2O e il 13% di N ed il solfato di K e magnesio (Mg) con il 30% di K2O e il 10% di MgO.
Il K può poi rientrare nella composizione di fertilizzanti complessi NPK sotto forma di cloruro, solfato di K o nitrato di K.
Analisi del suolo: cosa sapere
I laboratori di analisi chimica del terreno sono, in genere, attrezzati per la determinazione del K assimilabile ovvero estraibile.
Il metodo analitico maggiormente accettato, e applicato, si basa sull’impiego come estraente dell’acetato d’ammonio.
Con questo metodo d’analisi si estraggono dal campione di suolo le frazioni di K scambiabile e solubile.
L’interpretazione del risultato analitico, che deve essere effettuata da un agronomo opportunamente formato, deve tenere anche conto quanto meno di fattori quali la tessitura e la CSC, trovandosi il K nel terreno essenzialmente in forma minerale legato alle argille.
In genere si osserva che i terreni poveri di sostanza organica, sabbiosi e con CSC bassa sono spesso scarsamente dotati di questo elemento.
In genere si tiene anche conto del rapporto tra magnesio (Mg) assimilabile/ K assimilabile in quanto esiste una competizione tra i due elementi per i siti di scambio presenti nel suolo. Il rapporto ottimale si ritiene vada da 2 a 5. Se il rapporto è minore di 2 si corre il rischio di carenza di magnesio, se è maggiore di 5 si corre il rischio di carenza di K.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 47/2019
Concimazione potassica: cosa sapere per farla al meglio
Di C. Marzadori
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