Negli ultimi anni in viticoltura l’interesse nei confronti delle alternative ai prodotti fitosanitari di sintesi chimica è andato continuamente aumentando. Ciò può essere letto come una risposta alle limitazioni imposte dalla strategia Farm to fork, ma anche come una maggior consapevolezza da parte dell’agricoltore della necessità di ridurre l’input di sostanze attive di sintesi nell’ambiente.
A ciò si affiancano motivazione più tecniche, come la necessità di utilizzare in prossimità della vendemmia sostanze attive che non interferiscano con la fermentazione, di ridurre l’utilizzo di prodotti rameici per rispettare la quantità massima prevista per ettaro o di diminuire il rischio di esposizione dell’operatore a sostanze di sintesi chimica.
In aggiunta anche il consumatore, sempre più attento ai residui di prodotti fitosanitari, agisce indirettamente su questo cambio d’indirizzo, preferendo spesso vini prodotti con metodi più sostenibili.
Parallelamente a questa accresciuta attenzione, il mercato dei prodotti fitosanitari si sta velocemente adeguando, anche se a tutt’oggi le alternative sono ancora poche. Se da un lato la vite è la coltura che vanta il maggior numero di sostanze attive biologiche o biotecnologiche registrate, dall’altro la protezione contro le malattie, con alternative alla chimica di sintesi, presenta ancora ampi margini di miglioramento.
Le soluzioni contro i patogeni
Contro i funghi patogeni della vite i prodotti attualmente disponibili possono essere così raggruppati:
- a base microbiologica, in cui la sostanza attiva è un microrganismo o parte di esso;
- estratti di piante o alghe;
- estratti da animali o da prodotti di derivazione animale;
- a base di sostanze naturali (molecole o elementi presenti in natura, come rame o zolfo);
- molecole sintetizzate chimicamente, ma identiche a quelle naturali.
Nonostante nella letteratura scientifica si trovino menzionante diverse decine di sostanze sperimentali potenzialmente attive, affinché esse possano essere applicate in vigneto devono essere prima registrate come prodotti fitosanitari o come sostanze di base, secondo il regolamento n. 1107/2009.
Fungicidi microbiologici
Tra i fungicidi microbiologici registrati su vite troviamo Ampelomyces quisqualis, Aureobasidium pullulans, Pythium oligandrum e ceppi di specie appartenenti ai generi Bacillus e Trichoderma.
I meccanismi d’azione dei fungicidi microbiologici sono sostanzialmente quattro, anche se molto spesso essi coesistono nello stesso microrganismo:
- effetto diretto dovuto all’azione di enzimi litici e/o tossine;
- induzione di resistenza nella pianta;
- iperparassitismo;
- competizione per spazio e nutrienti.
Per poter applicare correttamente il prodotto microbiologico è molto importante conoscere il suo meccanismo d’azione, soprattutto in relazione alla tipologia ed epidemiologia del patogeno.
Di seguito riportiamo qualche esempio che può esplicitare meglio questo concetto chiave.
Con l’azione diretta si ha un azione per certi versi simile a quella dei fungicidi di sintesi chimica, anche se generalmente molto più limitata nel tempo, per cui l’applicazione deve essere effettuata tenendo conto delle condizioni e della tempistica dell’infezione.
Con l’iperparassitismo, non si ha mai l’eliminazione del patogeno, ma piuttosto una riduzione dell’inoculo. Sulla vite il caso tipico è costituito da Ampelomyces quisqualis: l’antagonista invade le cellule dell’agente dell’oidio (Erysiphe necator), si nutre di esso e lo uccide lentamente, ma mai completamente. Per questo motivo è applicato con successo per la riduzione delle infezioni primarie, grazie all’effetto di parassitizzazione dei casmoteci svernanti.
La competizione di spazio e nutrienti è, invece, efficace solo contro quei patogeni che utilizzano ferite, residui di tessuto vegetale o zuccheri per sopravvivere, germinare o accrescere il proprio inoculo. Il meccanismo si basa sul fatto che le ferite e/o zone d’ingresso del patogeno sono colonizzate dal microorganismo antagonista, che può anche produrre enzimi litici e tossine nel punto di colonizzazione, bloccando quindi l’infezione. In altri casi l’antagonista consuma sostanze necessarie alla germinazione/crescita del patogeno (ad esempio Botrytis cinerea ha bisogno di zucchero per germinare) o occupa spazio e/o consuma i nutrienti che sarebbero usati dal patogeno, con evidente riduzione dell’inoculo.
L’induzione di resistenza in genere non supera quasi mai il 40-50% di efficacia e tende a essere più evidente in ambienti «puliti» in cui la pianta non è soggetta a stimoli biologici, per cui può risultare deludente in caso di epidemie importanti e a rapida crescita e purtroppo molto spesso è poco visibile in vigneto dove la vite è già «attivata» dal contatto con molti microrganismi patogeni e non. Sulla vite l’induzione di resistenza ha mostrato un parziale effetto contro l’oidio (solo nella fase iniziale e non in quella epidemica), ma è risultata inefficace contro botrite e peronospora. Per queste ragioni, dopo un iniziale entusiasmo i prodotti «induttori di resistenza» stanno segnando un po’ il passo.
Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 3/2019
Agenti di biocontrollo, strumenti di sostenibilità in vigneto?
di I. Pertot
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