È stata definita «l’autostoppista perfetto» per la sua capacità di diffondersi e colonizzare le aree colpite, tant’è vero che oggi la cimice asiatica è drammaticamente presente in numerosi Paesi europei, in 44 Stati Usa, in Canada, in Sudamerica, nell’Africa subshariana.
In Italia, quasi tutte le regioni, isole comprese, con una particolare incidenza in Friuli Venezia Giulia e in Emilia-Romagna, hanno imparato a conoscerla e soprattutto a contare i danni che provoca in agricoltura.
Di questo e soprattutto di cosa si intende fare per tentare di arginare un flagello che Stefano Boncompagni, responsabile del Servizio fitosanitario dell’Emilia-Romagna ha definito «la più grande emergenza fitosanitaria che il sistema italiano si trova a dover combattere», si è parlato a Modena il 6 febbraio scorso durante un convegno organizzato dalla Cassa integrativa indennità malattie lavoratori agricoli (Ciimla) a cui hanno preso parte gli scienziati maggiormente coinvolti nello studio e nella ricerca di soluzioni efficaci.
Danni economici
«Sono i numeri a delineare lo scenario economico che emerge dall’infestazione di cimice asiatica» ha affermato Lara Maistrello del Dipartimento scienze della vita Università di Modena e Reggio Emilia.
«Secondo i dati elaborati dal Centro servizi ortofrutticoli e relativi al 2019, nel solo Nord Italia, per la produzione di pere, mele, pesche, nettarine e kiwi a polpa verde il danno totale è stato di 588.300.000 euro, suddiviso tra produzione e post-raccolta. Nella sola coltivazione delle pere, la perdita giornata/uomo nella fase produttiva e in quella post-raccolta e catena di approvvigionamento ha raggiunto rispettivamente 150.400 e 187.200 euro, causando una significativa riduzione delle redditività aziendali. Infatti, la differenza tra il costo di produzione, 17.500euro/ha, e la produzione lorda vendibile, 8.900euro/ha, calcolata sui prezzi attuali e i quantitativi ora disponibili, porta a un passivo di 8.600euro/ha».
Maistrello ha sottolineato le caratteristiche della cimice asiatica: estremamente invasiva, difficile da gestire, particolarmente promiscua e dotata di un elevato potenziale riproduttivo in condizioni favorevoli, che nel Sud e in Centro Europa hanno portato alla sovrapposizione di due generazioni.
Non solo. «Le sue caratteristiche – ha rincarato – ne favoriscono la predominanza negli ecosistemi di arrivo e il suo status di specie aliena le consente di non avere nessun antagonista naturale specifico, tant’è vero che dobbiamo confrontarci con un limitato potenziale di biocontrollo da parte di alcune specie autoctone di predatori e parassitoidi generalisti».
Un Piano innovativo
Un flagello che, come ha ricordato Tim Haye, del Centro internazionale per l’agricoltura e le scienze biologiche (Cabi), «si può tentare di contrastare con l’immissione della vespa samurai. I test fin qui effettuati dimostrano che questo antagonista naturale attacca le uova di tutte le specie di cimice asiatica e può essere considerata una strategia dalle buone potenzialità».
«Sarebbe però azzardato – ha aggiunto – credere che questa sia la soluzione definitiva al problema, perché allo stato non siamo nemmeno in grado di stabilire quanto tempo ci vorrà per poter vedere gli effetti del rilascio della vespa samurai. Occorre essere molto realisti e consapevoli che questo metodo richiederà tempo, sia per verificarne l’affidabilità che i risultati».
Ma gli agricoltori, come ha ricordato Stefano Boncompagni, responsabile del Servizio fitosanitario dell’Emilia-Romagna, non possono aspettare e «pur senza essere ancora in possesso della necessaria autorizzazione da parte del Ministero dell’ambiente, che comunque dovrebbe arrivare nelle prossime settimane – ha affermato nel suo intervento – da metà giugno, nelle regioni del Nord Italia, avvieremo una grande campagna di immissione di vespe samurai. Si tratta di un Piano d’azione biologica mai messo in campo prima d’ora in cui abbiamo investito molto e a cui si unisce un potenziamento dei controlli fitosanitari sulle merci in ingresso da altri Paesi».
«Il mese di giugno è quasi alle porte e se avessimo avviato l’elaborazione del Piano moltiplicatore successivamente all’autorizzazione ministeriale, non saremmo stati in grado di dargli attuazione nei tempi necessari. Il ripristino di un equilibrio che in agricoltura è stato sovvertito dall’irruzione della cimice asiatica richiederà molto tempo. Il lavoro che ci aspetta nell’immediato futuro sarà impegnativo e molto importante».
Anna Mossini