Se il passato e il presente di «Big Tobacco» sono floridi non si può dire lo stesso del loro futuro. Quello del tabacco è un mercato che nel 2017 a livello mondiale ha generato un giro d’affari di 764,5 miliardi di dollari e che è controllato da 5 società: le quotate Philip Morris International, Altria, Japan Tobacco, British American Tobacco e Imperial Brands e la non quotata China National Tobacco che controlla il mercato cinese.
Da un anno a questa parte però le azioni dei big della sigaretta hanno interrotto la loro calma e costante ascesa anche per il calo dei fumatori, che fatto 100 il totale della popolazione, in Italia è passato dal 23,4 al 19,3% in 10 anni; in Germania dal 23,7 al 21,8%; in Francia dal 29,1 al 27,8%; nel Regno Unito dal 20,2 al 17%; negli Stati Uniti dal 19,7 al 14,6% e in Giappone dal 26,3 al 19,3%.
In Cina l’incidenza dei fumatori è rimasta stabile al 27% ma in Russia, uno dei Paesi in cui è più grave il problema del tabagismo, ha visto la percentuale di fumatori scendere sempre in 10 anni dal 44,2 al 35,4%.
A fare il punto sul settore del tabacco sono stati i relatori del convegno «Tabacco: tecnica di coltivazione e tendenze di mercato» organizzato da Fabbrica cooperativa perfosfati Cerea nell’ambito della Fiera agricola di San Biagio a Bovolone (Verona) lo scorso 3 febbraio.
Nuovi mercati cercasi
«Per cercare di correre ai ripari, tra le altre strategie, è stata messa in atto quella dei cosiddetti Rrp, acronimo di reduced risk product, prodotti a rischio ridotto. Una sigla in cui ricadono tutte le sottospecie di sigarette elettroniche e dispositivi che consentono il consumo senza combustione del tabacco, la cui popolarità è in forte ascesa – ha evidenziato Andrea Franceschi, giornalista de Il Sole 24 ore – ma, essendo prodotti relativamente nuovi, non c’è alcuna evidenza scientifica e gli effetti sulla salute sono ancora ignoti. Sotto accusa sono i componenti chimici presenti nei liquidi di ricarica e la percentuale di nicotina in grado di creare dipendenza: negli USA non c’è limite e le percentuali arrivano al 7% in alcuni prodotti, mentre nell’UE il tetto massimo è fissato al 2%».
I numeri del tabacco italiano
Il settore del tabacco in Italia ha subìto una profonda fase di trasformazione negli ultimi anni, tutto è iniziato con il calo del sostegno pubblico della metà del decennio scorso. Gli operatori però hanno saputo reagire e sono stati in grado di mantenere uno zoccolo duro di capacità produttiva che tuttora fa del nostro Paese il primo produttore di tabacco dell’Unione europea.
Nonostante gli sforzi compiuti, il settore della produzione di tabacco in Italia non ha evitato un forte ridimensionamento, in particolare per il numero di coltivatori che è diminuito da oltre 5.000 nel 2010 a circa 2.000 nel 2018 (dati Commissione UE).
«Anche in termini di superficie e produzione c’è stata una diminuzione, seppure meno accentuata – ha sottolineato Massimo Rizzello – junior product manager Cerea FCP. Dal 2010 al 2018, sia la superficie coltivata sia la produzione sono scese di poco più del 40%, a fronte di un calo del 33% nell’intera Unione europea. Oggi il totale italiano delle superfici conta circa 15.687 ha per una produzione di 495.000 q, di cui 3.500 ha in provincia di Verona con circa 121.000 q di produzione».
Strategie per la qualità
Per i tabacchicoltori, quindi, puntare sulla qualità, oltre che sulla resa, del prodotto resta un aspetto centrale e la nutrizione, in questo senso, gioca un ruolo fondamentale. Ad approfondire questo tema ci ha pensato Giuseppe Ciuffreda, responsabile Servizio agronomico Cerea FCP: «La fertilizzazione azotata ha un’influenza rilevante sulle proprietà fisico-chimiche che rendono il tabacco idoneo all’utilizzazione industriale, ma anche il calcio è importantissimo. Una sperimentazione svolta nel 2019 nell’areale veronese – ha spiegato Ciuffreda – ha evidenziato come l’apporto di Calcito (calcio liquido con 9% di calcio solubile + 1% di magnesio solubile) assieme a un biostimolante radicale (Proser Mn Zn) in 4 trattamenti da fine maggio a metà luglio abbia aumentato del 21,5% la sostanza secca/ha (+4,4 q/ha s.s.) rispetto al testimone. Inoltre, alla raccolta l’incremento di resa era evidente sia sulle foglie mediane, sia su quelle apicali, a testimonianza che la concimazione con il calcio in forma assimilabile determina uno stay green prolungato, piante con foglie più grandi e quindi una maggiore redditività della coltura.
Lorenzo Andreotti