Utilizzare fertilizzanti ad alta efficienza mirati sia a nutrire le colture, sia a salvaguardare la fertilità del terreno è un concetto che rientra in pieno tra i dettami della strategia Farm to Fork, un insieme di misure che mira a rendere i sistemi agroalimentari sempre più rispettosi dell’ambiente.
Da ormai 50 anni Fomet, storica azienda con sede a San Pietro di Morubio (Verona) produce e commercializza fertilizzanti speciali e naturali per l’agricoltura professionale con la stessa filosofia: utilizzare metodi e sistemi naturali per la realizzazione in campo industriale.
«Il nostro fondatore, Paolo Cappellari, ha intuito, molti anni prima dell’avvento del concetto di sostenibilità, che le deiezioni animali non sono uno scarto, ma una risorsa da valorizzare – afferma Matteo Casella, direttore generale di Fomet. Attività che da un lato sgrava da un problema le aziende agricole e dall’altro genera fertilizzanti in perfetta ottica di economia circolare. Ancora oggi i metodi di lavorazione di Fomet prevedono il ritiro controllato di matrici organiche da letami di vario tipo, la lavorazione con processo monitorato di essiccazione, concentrazione e umificazione per molti mesi in ambienti completamente coperti, chiusi e monitorati per i parametri di umidità, pH, temperatura, ecc.».
Questo concetto si è così affinato nel tempo che oggi Fomet ha aperto collaborazioni con l’industria agroalimentare producendo ad esempio un fertilizzante, il Fertilespresso, derivato dalla filiera produttiva del caffè, un prodotto 100% vegetale, principalmente fonte di azoto e potassio ma anche di mesoelementi quali magnesio e calcio.
«In questi anni la nostra attività di ricerca e sviluppo è stata strategica per lanciare sul mercato prodotti innovativi, come fertilizzanti correttivi e specialistici, ammendanti, biostimolanti, radicanti o fisioattivatori – aggiunge Roberto Bonotto, direttore commerciale di Fomet – e oggi uno dei nostri focus principali è quello dei microrganismi. Ci stiamo concentrando in particolare sulle potenzialità del letame, materia prima sulla quale non siamo certo alle prime armi e che a livello microbiologico possiede delle proprietà molto interessanti. Un altro asset importantissimo per i prossimi anni è quello del biocontrollo – continua Bonotto – che noi intendiamo sviluppare attraverso lo studio e il controllo delle sostanze organiche».
Ricerca e sviluppo: attività fondamentali
L’azienda può contare su uno stabilimento di oltre 100.000 m², un laboratorio interno, il FometL@b, cui è direttore Alberto Modena, un centro ricerche di 410 m² dove sette tecnici, tra chimici, ingegneri e biotecnologi svolgono quotidianamente attività di ricerca e analisi chimiche per monitorare in continuo il reparto di produzione fertilizzanti.
Il FometL@b, inaugurato nel 2020, collabora attivamente con diverse università e accoglie studenti e dottorandi. A completare il Dipartimento R&D vi è il CFPN (Center for Plant Nutrition) coordinato da Clizia Franceschi, che può contare su una serra in vetro di 600 m², di terreni e serre in plastica per circa 4.000 m2.
Un modello esportato all’estero
Fomet è oggi una realtà dinamica, in espansione anche all’estero: «La nostra idea è di replicare il nostro modello dove c’è una effettiva richiesta – spiega Casella –. La nostra esperienza in Sud America, ad esempio, è nata per rispondere all’esigenza locale di migliorare la gestione delle deiezioni animali. Noi abbiamo risposto esportando il know how tecnico e l’esperienza in ambito normativo».
Roberto Bonotto sintetizza così il cammino di Fomet: «Il nostro valore più importante resta la credibilità. Rispondiamo alle esigenze del mercato con prodotti frutto della nostra ricerca, che richiede determinati tempi per assicurare ai clienti l’efficacia dichiarata».