L’influenza aviaria rappresenta una minaccia crescente e rischia di mettere in pericolo un settore come quello avicolo che in Italia vale oltre 7 miliardi di euro (5,3 miliardi per le carni e 2 miliardi per le uova), conta 64.000 addetti ed è totalmente autosufficiente.
Nel nostro Paese, al 20 gennaio 2025, le province più colpite dal virus influenzale H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) sono quelle di Mantova e di Verona.
In totale, da ottobre 2024 in Italia sono stati notificati 53 focolai nel pollame e circa 80 casi negli uccelli selvatici.
Per garantire una risposta rapida ed efficace a possibili casi di influenza aviaria H5N1 negli allevamenti, gli Istituti zooprofilattici sperimentali delle Venezie, Lombardia ed Emilia-Romagna, in accordo con il Ministero della salute, stanno già producendo dati scientifici ed effettuando test su bovini e latte crudo.
Di tutto questo parliamo con Calogero Terregino, direttore del Laboratorio di referenza europeo (Eurl), Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria – Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (Izsv).
Terregino, negli USA (Louisiana) c’è stato il primo decesso di un uomo per l’influenza aviaria. Oltre agli avicoli c’è pericolo per altre specie animali?
Il rischio maggiore lo si ha per allevamenti di suini o di carnivori allevati per la produzione di pellicce. L’epidemia di H5N1 negli allevamenti di bovini da latte in USA ha dimostrato che anche questi animali possono infettarsi con virus dell’influenza aviare, anche se questa evenienza rappresenta ancora una situazione eccezionale e in Europa non c’è nessun caso nei bovini.
Quali sono le cause di quest’ondata epidemica?
Sono quelle note ormai da tempo: un’elevata contaminazione virale ambientale tipica dei mesi invernali, dovuta alla massiccia presenza di volatili selvatici infetti, in aree a forte vocazione avicola.
Le misure di contenimento sono già state messe in campo. Sono misure sufficienti per contenere l’epidemia?
Le misure di controllo e prevenzione finora adottate, l’istituzione di zone di protezione e sorveglianza e l’abbattimento dei capi coinvolti dall’infezione sono state in grado di evitare il dilagare della malattia a livelli ingestibili.
Poco più di 50 casi da settembre rappresentano un numero, in percentuale, molto basso se consideriamo il totale di allevamenti di pollame nelle aree coinvolte. Rimane ancora fondamentale investire sulla biosicurezza aziendale che in alcuni casi si è rivelata insufficiente.
Qual è la situazione europea? Si sta intervenendo con una strategia sanitaria concordata?
Attualmente in Europa c’è un approccio omogeneo di controllo dell’HPAI, nel senso che tutti gli Stati membri sono tenuti a seguire le indicazioni di specifici regolamenti.
Come si possono aiutare gli allevamenti? Cosa devono fare?
Il settore si può aiutare migliorando sempre di più le misure di prevenzione e controllo per l’HPAI.
Queste misure, che vedono tra i punti cardine una precisa gestione degli accasamenti in aree densamente popolate di pollame nei periodi a rischio, possono essere realmente efficaci solo attraverso strategie sostenibili e condivise tra la produzione, associazioni di categoria, Regioni, Ministero della salute e Ministero dell’agricoltura.
Il Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie è come sempre a disposizione per il necessario supporto tecnico-scientifico.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 04/2025
L’aviaria preoccupa ma è sotto controllo
di G. Menna
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