Quanto incide il tipo di materiale sul valore e sulle performance delle operatrici?

Sarà capitato a molti imprenditori agricoli di notare come nei «Prezzari di costi massimi di riferimento per macchine e attrezzature agricole» adottati dalle diverse Regioni nell’ambito dei Programmi di sviluppo rurale (Psr), vi siano molte attrezzature in cui il valore è stimato sulla base del peso. Attrezzature per la lavorazione del suolo, per la semina, per la fienagione, per il trasporto e molte altre sono valorizzate attraverso coefficienti che di media variano tra i 7 e i 16 euro per ogni chilogrammo di massa a vuoto. Ci si potrebbe domandare se sia corretto stimare il valore delle macchine e delle attrezzature agricole «un tanto al chilo».

Chiaramente il loro valore va ben al di là del loro semplice peso, tuttavia la correlazione che si può riconoscere tra il prezzo e la massa per moltissimi dei modelli sul mercato è elevata e si ripete in modo simile anche in altri settori del mercato (automobilistico, costruzioni, impianti, ecc.). Questo andamento potrebbe sembrare in contraddizione con le ripartizioni dei costi che tipicamente si riscontrano nel manifatturiero pesante, in cui solo il 15- 20% dei costi (cioè 1-3 euro/kg) è dovuto all’acquisto dei materiali. D’altra parte tutte le lavorazioni (e la potenza elettrica impiegata), gli assemblaggi, i trasporti e la stessa progettazione sono a loro volta tanto più impegnativi e gravosi quanto più aumentano le dimensioni (in termini di massa o volume) dei componenti o delle macchine considerate.

Ne risulta che direttamente o indirettamente, tanto più pesante è l’attrezzatura, tanto più saranno le ore spese per lavorazioni e assemblaggi, e tanto più elevati saranno gli ingombri durante movimentazioni e trasporti, e in definitiva tanto più alto sarà il suo costo.

I materiali, però, non sono tutti uguali e non presentano lo stesso valore sul mercato: si va così dalle poche centinaia di euro a tonnellata (come nel caso del ferro) passando per i 15.000 euro/t del titanio e arrivando a superare anche i 50.000 euro/t, come nel caso del molibdeno. Fortunatamente questi materiali non si usano puri ma nella maggior parte dei casi sottoforma di leghe, che uniscono metalli diversi per combinare e ottimizzare non solo le differenti proprietà meccaniche (come la resilienza o la resistenza a trazione, a fatica, a corrosione o a usura) ma anche quelle tecnologiche (duttilità, saldabilità e altre proprietà che descrivono in qualche modo la propensione alla formatura e alla lavorazione).

Per avere un’idea della quantità e della varietà di materiali disponibili, basta pensare ad esempio che sul sito matweb.com sono presenti 3.000 acciai, oltre 17.000 metalli, 10.000 ceramiche e addirittura 97.000 tra polimerici e compositi. Si tratta dunque di un orizzonte davvero vasto in cui forse si dovrebbe provare a osare di più.

È vero che le condizioni di lavoro in agricoltura sono variegate in termini di caratteristiche dei suoli, parametri ambientali, tipi di prodotti vegetali, ecc. e sperimentare nuovi materiali potrebbe riservare insidie sulle prestazioni a lungo termine, ma dall’altra parte un aumento delle prestazioni potrebbe portare un reale vantaggio competitivo ai produttori di attrezzi e un aumento di efficienza con minori fermi macchina e minori manutenzioni per le aziende agricole. Questo potrebbe portare finalmente molti attrezzi a non costare più «un tanto al chilo» ma a valere davvero per il loro contenuto in tecnologia innovativa.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su MAD – Macchine Agricole Domani n. 5/2024
L’evoluzione dei materiali nelle attrezzature agricole
di F. Marinello
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