Il mondo della ricerca genetica in Italia festeggia il 50° anniversario dalla nascita del grano duro Creso (1974-2024), una varietà che ha segnato profondamente l’evoluzione della cerealicoltura italiana, per oltre 20 anni.
Nel 1974 in Italia si coltivavano 1,6 milioni di ettari di grano duro, la resa media era di 1,84 t/ha e la produzione nazionale era di 2,84 milioni di tonnellate.
Le varietà più diffuse erano Patrizio, Capeiti e Appulo e la coltivazione si concentrava esclusivamente nelle regioni meridionali. Nello stesso anno la produzione di pasta era di 0,87 milioni di tonnellate e il fabbisogno di materia prima veniva soddisfatto con le importazioni di grano duro dall’estero.
Qualche anno prima in Italia era stata varata la legge di purezza della pasta (legge 580/1967), le cui norme vincolavano i produttori all’utilizzo esclusivo della semola di grano duro e definivano i parametri qualitativi della materia prima (tenore proteico).
Questo provvedimento amplificò ulteriormente la necessità di aumentare la produzione nazionale, estendendo la coltivazione del grano duro all’Italia centro-settentrionale, con la prospettiva economica di limitare l’approvvigionamento dall’estero. Era necessario prima, però, sfatare la convinzione, radicata da anni, secondo cui il grano duro aveva una capacità produttiva inferiore rispetto a quella del grano tenero. La possibilità di sostituire la produzione di tenero al Nord era legata alla necessità di poter disporre di varietà di grano duro capaci di esprimere lo stesso potenziale produttivo. Il resto lo avrebbe fatto il prezzo, che in quello stesso periodo era molto più alto per il grano duro.
Il lungo lavoro del genetista Bozzini
È in questo contesto che si inserisce l’esperienza rivoluzionaria del Creso e del suo costitutore, Alessandro Bozzini (1932-2023), agronomo e genetista agrario, allievo di Francesco d’Amato durante gli studi a Pisa. Alla fine degli anni Cinquanta, durante la specializzazione post laurea all’Università del Minnesota, Bozzini ebbe l’occasione di conoscere il futuro premio Nobel Norman Borlaug (1914-2009). In quel frangente, Borlaug gli confidò l’intenzione di trasferire i geni per la riduzione della taglia, presenti nel frumento tenero giapponese Norin 10, anche nel frumento duro, attraverso un programma specifico di incroci da realizzarsi in Messico al Cimmyt (Centro internazionale per il miglioramento del mais e del frumento). L’obiettivo era quello di aumentare la produttività e la resistenza all’allettamento anche in questa specie. Bozzini, in quell’occasione, consigliò di utilizzare, nel nuovo programma di incroci, la varietà Cappelli, esaltandone l’ampia adattabilità e le spiccate caratteristiche qualitative della granella. Nel frattempo, tornato a Roma, Bozzini inizia a lavorare su un programma di citogenetica, mutagenesi artificiale e miglioramento genetico presso il Centro studi nucleari della Casaccia (Cnen), sotto la guida di Gian Tommaso Scarascia Mugnozza (1925-2011). Anche in questo caso l’obiettivo era quello di identificare e selezionare mutanti di grano duro a taglia bassa, a partire dalle varietà coltivate all’epoca, particolarmente sensibili all’allettamento.
Il risultato di questo programma portò alla selezione di mutanti più bassi di circa 15-30 cm rispetto ai parentali di origine. Tuttavia, questi materiali non assicuravano un buon rendimento agronomico, si presentavano con un ciclo di sviluppo eccessivamente tardivo e una scarsa qualità della granella. Tra essi solo il mutante Cp B144, derivato dalla varietà Cappelli, possedeva una granella vitrea di buona qualità. Come nasce la varietà Creso nel 1974 Alcuni anni dopo, in occasione di un convegno in Francia, Borlaug consegnò a Bozzini una manciata di semi F3, frutto di quel lavoro di trasferimento dei geni per la riduzione della taglia che aveva avviato in Messico.
Si trattava di linee derivate dall’incrocio tra la selezione Norin-10 per Brevor (N10-B) e la varietà Yaktana-54 (Yt54), il cui prodotto era stato reincrociato più volte con Teuachan- 60 (Tc3) e proprio con quel Cappelli (Cp2) che Bozzini gli aveva suggerito anni prima. Sulla bustina di semi consegnata da Borlaug era riportata la seguente genealogia: [(Yt54-N10-B) Cp2-63 Tc3]. Lo stesso anno Bozzini coltiva queste linee a Roma e i dati confermano le caratteristiche indicate da Borlaug: taglia molto bassa (circa 60-70 cm), buona fertilità di spiga, foglie a portamento eretto, ottima resistenza alla ruggine bruna e una buona dimensione dei semi. L’unico punto debole dei nuovi materiali messicani era rappresentato dalla struttura semivitrea delle cariossidi. Per questo motivo nel 1964 Bozzini decide di incrociare alcune selezioni di linee F4 con il mutante di Cappelli Cp B144. Negli anni successivi, tra le migliaia di progenie derivate da questo nuovo incrocio, Bozzini selezionava l’unica linea capace di mantenere tutte le caratteristiche distintive dei materiali messicani e presentare una granella grande a frattura vitrea più adatta alla pastificazione. Si trattava della linea FB-55 iscritta al Registro nazionale delle varietà nel 1974 col nome di Creso. La varietà ebbe immediatamente una rapida diffusione, soprattutto nel Centro- Nord Italia, dimostrando in brevissimo tempo che i frumenti duri avevano ormai raggiunto le stesse potenzialità produttive dei teneri (fino a 8-10 t/ha), senza perdere la qualità tecnologica necessaria per l’industria molitoria e pastaria. In tutte le prove di confronto, il Creso forniva complessivamente prestazioni produttive superiori a quelle del Capeiti almeno del 25-30%, superando in cifra assoluta la produzione media di 6 t/ha ad Ancona, 7 t/ha a Maccarese (Roma) e 8 t/ha nel Fucino presso Avezzano.
Ed è così che in breve tempo il Creso diventa la varietà più coltivata in Italia, scalzando il Capeiti dal primo posto tra le varietà più diffuse. Un primato resistito fino al 1994 Nel 1984, dopo dieci anni dalla sua registrazione, su un totale di 1,78 milioni di ettari coltivati a frumento duro, il Creso occupava il 25-30% della superficie complessiva e la resa media del grano duro in Italia era salita a 2,54 t/ha. Il primato della varietà resterà incontrastato fino al 1994, quando poi dovette cedere il passo al Simeto, il capostipite di una nuova generazione di grani duri, quella in cui il Creso e gli altri materiali di origine messicana divennero a loro volta progenitori delle nuove varietà. Tuttavia, l’intenzione dichiarata inizialmente di promuovere la diffusione del grano duro al Nord, nella prospettiva economica di limitare l’importazione dall’estero, rimase in larga parte disattesa perché a distanza di pochi anni dalla registrazione il differenziale di prezzo, rispetto al tenero, si abbassò drasticamente. A 50 anni dalla nascita del Creso sono oltre 300 le varietà iscritte al Registro nazionale che soddisfano tutte le esigenze della filiera, anche quelle più diversificate e/o legate a categorie specifiche di consumatori. Durante questo periodo la pasta ha consolidato il suo ruolo come principale prodotto identitario del made in Italy, con una produzione di 3,7 milioni di tonnellate, di cui 2,1 milioni destinate all’esportazione.
Come affrontare le nuove sfide
Recentemente, però, nelle nuove varietà di grano duro, il guadagno genetico annuo in termini di resa appare molto limitato e non sufficiente a garantire il fabbisogno delle future generazioni. Certamente, la forte pressione selettiva esercitata nel corso degli ultimi decenni ha ristretto la base genetica su cui operare per ulteriori interventi migliorativi. A questo si aggiunge l’imprevedibilità climatica e la consapevolezza che l’incremento di resa ottenuto fino a oggi sia stato possibile anche grazie all’applicazione di consistenti input agronomici (agrofarmaci) non più compatibili con la nuova politica agricola comunitaria (Pac). Fortunatamente oggi abbiamo gli strumenti e le conoscenze necessarie per affrontare le nuove sfide; conosciamo le ragioni del successo così importante del Creso, le basi genetiche che ne hanno determinato l’elevata produttività, l’adattabilità e la capacità di rispondere agli input agronomici, la resistenza alle malattie e l’attitudine alla pastificazione e alla trasformazione industriale. È noto il gene responsabile della bassa taglia (Rht-1) del grano Creso, la posizione nel genoma (cromosoma 4) e la sua funzione (riconoscere la gibberellina e dirigerla verso i siti d’azione, ossia le pareti delle cellule dell’internodo).
Sappiamo, inoltre, che nel frumento giapponese Norin-10 questo gene non funzionava e quindi la gibberellina continuava a essere prodotta dalla pianta, ma non veniva veicolata per distendere le pareti cellulari dell’internodo, così le piante rimanevano basse. Questo è il vero motivo della bassa taglia del Creso, un aspetto importante che deve servire per sgomberare il campo dalla falsa credenza per cui la riduzione della taglia nelle varietà moderne di grano duro, a partire proprio dal Creso, sia stata ottenuta per effetto della mutagenesi indotta artificialmente sul parentale CpB144.
Oggi sappiamo anche che la resistenza alla ruggine bruna del Creso è legata alla presenza del gene Lr14, che conferisce alla pianta una resistenza durevole, largamente sfruttata in molti programmi di miglioramento genetico in Italia e nel mondo, e che deriva dalle linee segreganti sviluppate da Borlaug. Dall’analisi della genealogia di Creso si evince anche la strettissima parentela con il predecessore «antico» Cappelli da cui ha ereditato cariossidi grandi e vitree. Il Creso, dunque, è un esempio significativo di come l’innovazione genetica in campo agrario possa portare a risultati eccezionali in termini di resa e qualità delle produzioni. L’esperienza sottolinea anche quanto sia importante investire in ricerca e sviluppo per acquisire nuove conoscenze e ottenere varietà adattate a soddisfare le esigenze di un intero sistema produttivo.
Articolo realizzato in collaborazione con SIGA (Società Italiana di Genetica Agraria).
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 18/2024
Le sfide per la ricerca genetica a 50 anni dal grano duro Creso
di P. De Vita
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