Da un’analisi economica del processo produttivo del pomodoro da industria effettuata dal Crea, si rilevano in generale costi di produzione più bassi al Nord e una migliore resa agricola nei comprensori del Sud Italia. I dati sono stati presentati alla recente assemblea pubblica annuale dell’Anicav, l’Associazione industriale delle conserve vegetali.
Lo studio, realizzato su dati Istat e Rica (la Rete di informazione contabile agricola) e integrato con interviste agli stakeholder, rivela, in particolare, le differenze sul piano economico, con la quasi totalità delle aziende agricole del Nord (il 95%) costituita da realtà con fatturati tra 100.000 e oltre 500.000 euro, contro il 64% del Mezzogiorno.
Rilevanti anche le divergenze nelle rese unitarie e nei costi di produzione. In media, il bacino meridionale esprime livelli di produttività significativamente migliori rispetto al Nord, con gli 878 quintali/ettaro rilevati nel Mezzogiorno, che si rapportano ai 696 quintali delle regioni settentrionali.
Non emergono al contrario sostanziali differenze nella ripartizione, per voci, dei costi di produzione. Il lavoro incide sul bilancio complessivo delle aziende agricole per il 27% al Nord e per il 29% nel Mezzogiorno. L’acquisto di sementi/piantine assorbe un altro 14% e 15% rispettivamente, i macchinari il 14% e il 17%.
Le divergenze, queste invece molto evidenti tra i due distretti, sono nei livelli di costo che per diverse voci appaiono significativamente più elevati al Sud rispetto al Nord Italia.
Sementi e piantine costano mediamente il 48% in più nel Meridione, gli agrofarmaci il 59%, la meccanizzazione il 68%, in questo caso il divario è motivato dal maggiore ricorso nel Mezzogiorno al contoterzismo. La manodopera, associata a un impiego più intensivo di personale che la raccolta in bins impone alle realtà agricole del Sud, comporta un costo più alto del 58% rispetto a quello di un’azienda tipo del distretto settentrionale.