Le piante ottenute con mutagenesi casuale in vitro non devono sottostare alle norme sugli ogm secondo quanto previsto dalla Direttiva UE del 2001. Lo precisa la Corte europea di Giustizia su richiesta del Consiglio di Stato francese, in seguito a un ricorso della ong Confederation Paysanne contro le autorità di Parigi.
Nel 2018 la Corte aveva chiarito che solo la mutagenesi «tradizionale», ad esempio ottenuta tramite irraggiamento o sostanze mutagenesi, potesse essere esclusa dall’ambito della regolamentazione sugli ogm in quanto «utilizzate convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza», mentre tutte le tecniche biotech applicate alle piante sviluppate dopo il 2001 dovessero rientrarvi.
Oggi la Corte specifica che, pur facendo salvo quel principio, esso non si applica nel caso specifico degli organismi prodotti con mutagenesi casuale in vitro se le modifiche ottenute non differiscono da quelle ottenibili con le tecniche già ritenute ammissibili.
Il chiarimento della Corte UE arriva mentre la Commissione europea sta preparando una nuova legislazione sulle nuove biotecnologie agrarie, come cisgenesi e genome editing, per chiarire quali di esse possano essere considerate ricadenti nell’ambito delle norme di commercializzazione ed etichettatura che regolano gli ogm, datate 2001.
Ricordiamo che attualmente si stima siano oltre 3.000 le varietà ottenute tramite mutagenesi regolarmente utilizzate, in molti casi anche in agricoltura biologica.
La pur «contorta» argomentazione giuridica elaborata oggi dalla Corte di giustizia europea ha provocato, come prevedibile, la reazione del fronte «ambientalista» che la interpreta come «una breccia rischiosa verso la deregolamentazione».
Due, come sempre, le argomentazioni usate: la prima è che «la Corte UE nel 2018 si è pronunciata contro un’esenzione generalizzata delle nuove tecniche dalle norme che regolano gli ogm». Dimenticando di aggiungere che la stessa Corte aveva chiarito di basarsi su una definizione legale, e non scientifica, di ogm contenuta nella Direttiva del 2001. Definizione che andrebbe cambiata alla luce delle nuove tecniche che nel 2001 nemmeno potevano essere immaginate.
La seconda motivazione è che «Non c’è consenso scientifico sulla sicurezza di questi nuovi prodotti». Una pura bugia. Se 98 scienziati dicono che queste tecnologie sono sicure e 2 invece dicono di no, non sembra molto corretto dire che il mondo scientifico è diviso.