Spesso i vini contemporanei vengono criticati per la loro eccessiva somiglianza, quasi fossero genericamente tutti uguali, fino a indurre nell’assaggiatore una sensazione di «noia». Questa intuizione della sfera psicologica dovrebbe essere considerata un giudizio organolettico lecito, non materiale, e opposto a giudizi positivi, che fanno parte del bagaglio storico della critica enologica, quali «tipico», «di terroir», «varietale», «con personalità».
All’origine delle somiglianze
Il miglioramento di un comparto produttivo può essere ottenuto incrementando la qualità delle eccellenze oppure rimuovendo i difetti e le imperfezioni, ossia evitando che vini sgradevoli finiscano sugli scaffali. Negli ultimi vent’anni del secolo scorso abbiamo assistito a una rincorsa all’eccellenza. Le differenze fra i vini si sono amplificate e le loro «somiglianze» non erano oggetto di grandi dibattiti. Negli anni successivi, la diffusione della tecnologia e delle conoscenze ha incremento la qualità minima, ridotto le differenze fra i vini e fatto nascere il nuovo concetto di «boring wine», vino noioso.
Rifiuto delle conoscenze acquisite
Si può avere la sensazione che l’uniformità del gusto sia dovuta proprio all’aumento della conoscenza e che l’unico modo per oltrepassare questo limite sia negarne la validità. Di fatto, in un contesto d’assaggio di campioni piuttosto uniformi, un vino impreciso può distinguersi e addirittura essere apprezzato per la sua «particolarità». D’altro canto, l’eccessiva uniformità dei vini industriali è una tendenza evidente, non negabile, anche se giustificata in gran parte dall’aumento della qualità media.
La diatriba sui lieviti selezionati
La diffusione dei lieviti selezionati è spesso ritenuta una delle cause principali della perdita di identità dei vini. Alcune teorie affermano che se si utilizza lo stesso lievito dall’Australia alla Mosella tutti i vini tenderanno ad assomigliarsi.
L’autoselezione delle popolazioni indigene
Con una rapida applicazione del freddo e dell’anaerobiosi è teoricamente possibile favorire l’autoselezione dei lieviti Saccharomyces cerevisiae presenti sulle uve, contenendo così il contributo minore delle specie apiculate. Per maggiore sicurezza sarebbe opportuno accompagnare gli accorgimenti precedenti con un pied de cuve, avendo cura di raccogliere almeno il 3% delle uve da vinificare tre giorni prima della raccolta generale. L’avvio fermentativo del pied de cuve deve essere fatto in sicurezza, eventualmente senza disdegnare un dosaggio opportuno di anidride solforosa (70 mg/L) a fini selettivi. Ovviamente il successo del pied de cuve dipende da molti fattori esterni.
La carica microbica reale presente sulla superficie delle uve può variare di due unità di grandezza senza apprezzabili variazioni visive. Se la temperatura di fermentazione delle uve in autoselezione è inferiore a 20 °C, l’inoculo non sarà abbastanza sviluppato. Al contrario, se la temperatura fosse maggiore di 24 °C, si correrebbe il rischio di indurre nei lieviti uno stress nutrizionale. Il periodo che intercorre fra la raccolta anticipata delle uve e quella complessiva ha un ruolo importante e un effetto simile alla variazione di temperatura: tempi brevi e temperature basse non consentono lo sviluppo di un’adeguata biomassa autoselezionata.
Per ovviare a tutte queste problematiche sarebbe utile validare i protocolli di autoselezione con una misura indiretta del vigore fermentativo e considerare che un pied de cuve, in piena fase esponenziale di crescita, dovrebbe aver consumato fra i 50 g/L e gli 80 g/L di zucchero. Le tecniche di autoselezione sono comunque molto rischiose e possono essere vanificate da disguidi organizzativi, con difetti che diventeranno evidenti solo con l’esaurimento degli zuccheri. Non stupisce pertanto che anche alcuni produttori esperti incappino in annate sfavorevoli, dove le tendenze acetose dei vini superano la soglia organolettica di riconoscimento. Migliori controlli e migliori studi teorici possono dare più certezze a chi vuole affrontare con serietà le problematiche delle autoselezioni.
Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 5/2022
I vini senza difetti sono scolastici?
di Mauro De Paola
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