Il bovino, indipendentemente da razza e/o attitudine produttiva, è un ruminante erbivoro e come tale è fisiologicamente programmato per digerire la fibra e utilizzare i prodotti di questa digestione per la conversione in latte o carne.
Pertanto, per contenere il costo della razione e mantenere efficienza e benessere dell’animale, diventa prioritario sfruttare al meglio la componente fibrosa alimentare con il contributo anche di foraggi alternativi. Da un punto di vista chimico, la fibra, intesa come NDF (Neutral detergent fiber o fibra al detergente neutro), è costituita da cellulosa, emicellulose e lignina. Poiché la NDF può contenere una quota di ceneri, potenzialmente significativa in presenza di foraggi molto contaminati da terreno, i nutrizionisti ritengono più corretto quantificarla come aNDFom, ovvero al netto del contenuto di ceneri.
Una corretta valutazione nutrizionale della componente fibrosa della razione non può fermarsi alla quantificazione dell’NDF, ma deve conoscerne la composizione e le sue caratteristiche fisiche: i parametri ADF (Acid detergent fiber, fibra al detergente acido, che include cellulosa e lignina) e ADL (lignina) forniscono in tal senso utili informazioni sulla tipologia di fibra della dieta, la peNDF (physically effective NDF, fibra fisicamente efficace) la fibra ruminativa, la dimensione delle particelle, la resistenza alla masticazione di queste ultime.
Esiste tuttavia una quota della NDF che non potrà mai essere utilizzata e viene escreta con le feci. Questa frazione, denominata uNDF240 (Undigestible NDF, NDF indigeribile a 240 ore) ha un ruolo fondamentale nel determinare l’ingestione, l’apporto nutritivo del foraggio e stimare la strutturazione della fibra, cioè la sua «durezza» che induce una corretta masticazione e conseguente salivazione.
La tabella riporta i valori mediDFom, ADF e uNDF di diete unifeed per vacche da latte (alimentate con foraggi insilati) e per bovini all’ingrasso. I corretti rapporti tra aNDFom, peNDF e uNDF240 sono il pilastro portante di una dieta per ruminanti.
In queste specie, infatti, la fibra alimentare, oltre a un ruolo nutrizionale, ha anche la funzione di stimolare la masticazione e la ruminazione. Questa funzione dipende dalla struttura fisica della fibra e dalla sua capacità di formare il tappeto ruminale, e può essere quantificata con la misurazione della peNDF. Tuttavia, contenuti eccessivi sia di peNDF che di uNDF possono creare ingombro fisico nel rumine, limitando l’ingestione di sostanza secca.
Nella vacca da latte, la ricerca scientifica ha lavorato per trovare un corretto compromesso tra i diversi parametri della fibra alimentare per fornire nella dieta la massima quantità della frazione digeribile (NDFD), garantendo una adeguata rumino-attività (peNDF) senza occupare uno spazio eccessivo nel rumine.
Oggi queste conoscenze possono e devono essere trasferite anche nella nutrizione del bovino da carne, che ha elevati fabbisogni nutrizionali ma una limitata capacità d’ingestione. Rispetto alla vacca da latte, infatti, dove il miglioramento genetico ha promosso un aumento della capacità d’ingestione, nelle razze specializzate da carne la selezione ha sempre cercato di contenere lo sviluppo dei prestomaci, che in sede di macellazione penalizzano la resa della carcassa.
Fino a oggi, dunque, nelle diete per bovini da carne la fibra è stata considerata come una «zavorra», che sottrae spazio fisico alle altre componenti meno ingombranti della dieta (amido e proteine), svolgendo esclusivamente un ruolo di promotore della ruminazione.
Tratto dall’articolo pubblicato su Stalle da Latte n. 5/2022
Dalla bovina da latte le indicazioni per produrre carne sostenibile
di G. Cozzi, M. Dorigo
Per leggere l’articolo completo abbonati a Stalle da Latte