Pesco: bisogna puntare al mercato interno

In Italia le superfici peschicole sono diminuite di 30.000 ha negli ultimi 10 anni, di cui 9.000 negli ultimi 5, a testimonianza di un processo che, pur rallentando, non accenna a esaurirsi. La peschicoltura è ormai fortemente concentrata nell’area centro-meridionale del Paese, dove si localizzano poco meno di tre quarti degli impianti complessivi. L’ultimo quinquennio ha visto diminuire di 3.700 ha le superfici in Emilia-Romagna e di 2.400 ha nelle altre regioni del Nord. Nell’Italia del Sud il comparto peschicolo evidenzia una migliore tenuta, soprattutto in Campania e Sicilia, le due regioni più rilevanti. Anche nell’area centro-meridionale, nel complesso, si registra comunque una perdita di quasi 2.500 ha su base quinquennale.

Relativamente alla tipologia di prodotto, il periodo ha visto perdere il 12% degli impianti di pesche comuni e il 16% di nettarine.

Notizie poco positive si rilevano anche dall’indice di rinnovo degli impianti, dato dal rapporto fra superfici in allevamento e in produzione, il quale è sceso, sempre nel periodo 2017-2021, dal 5 al 3%. Infine, è incoraggiante quantomeno la tenuta della coltivazione biologica che, secondo i dati Sinab, è risalita a circa 2.800 ha, dopo essere scesa fin sotto i 2.000 ha nel triennio 2013-2015.

Le previsioni per il comparto

Le più recenti campagne hanno aggiunto ai problemi di mercato la questione delle avversità climatiche, sempre più frequenti nel nostro Paese, così come in tutta Europa. Ciò pone in risalto, peraltro come per quasi tutte le specie frutticole, la necessità di implementare strumenti di difesa attiva e passiva. In particolare, gli strumenti di difesa attiva, quali le coperture antigrandine o i sistemi di difesa antigelo hanno in genere una buona efficacia, ma presentano costi non indifferenti, certamente difficili da sostenere per chi coltiva una specie reduce da anni di difficoltà di mercato che hanno comportato remunerazioni estremamente basse.

Per anni si è discusso sulle molteplici cause che hanno determinato la situazione di declino del comparto: prima fra tutte la cronica situazione di sovrapproduzione strutturale che si è determinata nel tempo, seguita dalla progressiva concentrazione dell’offerta nelle fasi centrali della campagna, fino alle politiche distributive che, soffocate dall’eccessiva concorrenzialità e dal livellamento verso un prodotto low cost dell’offerta proposta, continuano a vedere nel prezzo una leva strategica fondamentale.

Naturalmente, in parallelo alle cause esogene al comparto, la principale causa endogena è sempre da individuare nella totale mancanza di aggregazione e organizzazione dei produttori, nella grande frammentazione dell’offerta, che la rende debole e priva di difesa nei confronti del mercato.

Persi quasi completamente i mercati europei, ove peraltro vanno affacciandosi con crescente decisione anche Paesi terzi, come la Turchia, oltre alla fortissima pressione di Spagna e Grecia, è ormai inevitabile puntare sulla difesa del mercato interno, con una produzione giocoforza limitata, che deve essere di qualità e ben distinguibile. Inevitabile il miglioramento continuo delle tecniche di produzione, su cui deve lavorare la ricerca e l’assistenza tecnica, al fine di razionalizzare il più possibile i costi, un fattore che sarà in ogni caso strategico, poiché è arduo pensare, soprattutto nella situazione economica attuale, a elevate disponibilità a pagare da parte del consumatore.

Con valori minimi anche di 0,30 euro/kg registrati fino al 2017 ben si comprende la forte contrazione delle superfici investite.
Il rialzo più recente è invece dovuto alla contrazione delle rese.

Un’opportunità da cogliere è certamente quella di un maggior riallineamento dell’offerta varietale con le richieste del consumatore stesso, sempre più rivolte verso frutti sub-acidi, sui cui è necessario puntare, una volta eliminati gli impianti più vecchi da cui provengono ancora quote significative di offerta poco qualificata.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 26/2022
Pesco: servono aggregazione e ricerca
di  Alessandro Palmieri
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