L’incoerenza delle politiche europee non ha limiti: impedisce l’utilizzo delle tecniche di evoluzione assistita in agricoltura e consente, questo per lo meno è il progetto, alla start up israeliana Remilk di costruire in Danimarca (a Kalundborg) il più grande stabilimento del mondo per la produzione di latte senza vacche. La tecnologia di Remilk si basa sulla fermentazione di precisione. Ma dietro alla parola precisione si celano una serie di lieviti dal DNA modificato artificialmente in grado di produrre principalmente caseina e siero, entrambi in polvere e da utilizzare per la realizzazione di tutti i derivati del latte.
La start up israeliana ha annunciato di aver raccolto 120 milioni di euro per affrontare l’investimento e pare abbia già acquisito l’area per realizzare uno stabilimento da 70.000 metri quadrati. Il principale finanziatore è un fondo di venture capital basato a New York e Tel Aviv: Hanaco Ventures, ma alla cordata partecipano numerosi altri fondi di investimento e industrie, anche europee.
Inizialmente Remilk punta a servire caseifici e industrie di trasformazione, ma non esclude in futuro di raggiungere i clienti finali con linee di prodotto «animal free» e «sostenibili».
«Il processo di Remilk – ha dichiarato l’amministratore delegato Aviv Wolff – richiede solo l’1% del consumo di terra rispetto alla tradizionale produzione lattiero-casearia e riduce le emissioni a effetto serra e il consumo di acqua».
Se non è possibile utilizzare le più avanzate conoscenze e tecniche per migliorare la competitività e la sostenibilità delle tradizionali produzioni agricole, perché le medesime tecniche possono essere tranquillamente impiegate per produrre alimenti al di fuori del processo agricolo? Sorge il dubbio che l’azione dei movimenti ambientalisti sia quanto meno ideologica se non in mala fede.